lunedì 30 dicembre 2013

IL DANNO DI CAPODANNO

La foto è tratta dal sito thechefisonthetable.it


Capodanno mi sta veramente sul culo. Ma non nel senso che mi ingrassa. Nel senso che lo odio. Credevo che col passare del tempo l’odio scemasse e invece ogni anno è sempre peggio e ogni anno mi fa sempre più schifo. Che poi mi domando: la gente a cui piace il Capodanno dov’è? Voglio dire, nei giorni prima di Capodanno, che sono forse i peggiori della Terra, parli alle persone e tutti ne dicono il peggio che si può.

 “Ascolta, ma tu alla fine che fai a Capodanno?”
“Ah guarda non lo so, forse vado in montagna a casa dal nipote di un amico dell’idraulico di mia nonna; anche se forse vado ad una festa organizzata da un tipo a casa di una tipa che è la tipa di uno che ho incontrato alla fermata dell’autobus. Altrimenti pensavi di andare a fare tre giorni di ritiro nella laguna di San Rafael nella Patagonia cilena dove c’è mio cugino che è rifugiato politico dal ’93. Comunque guarda, ho una voglia che va a finire che piuttosto vado a letto”.

 Finisce sempre così. Molti (in realtà pochi) progetti, tardivi e rocamboleschi e poi la drammatica dichiarazione di resa. “Guarda finisce che vado a letto, buona sera e buon anno”. Roba che il 31 diventiamo tutti rappresentanti della Eminflex. Buona notte ai suonatori. Che se veramente fosse così, a Capodanno ci sarebbe un largo che i gestori e i ristoratori tenterebbero il suicidio gettandosi nella sala fumatori del ristorante abbracciato ad una bomba Maradona. E invece macchè. Un fittume la notte di Capodanno da far venire il mal di mare. Gente che per avere un tavolo in una pizzeria ha preso in ostaggio il fattorino delle pizze. Per avere un pugno di lenticchie altri hanno fatto arrivare al maitre una busta con dentro tre bossoli calibro 35.

Si perché i giorni prima di Capodanno sono giorni di ansia e frustrazione. Salvo tu non sia uno di quegli infami che il Capodanno lo programma a Ferragosto (che ti si stacchino le unghie dei piedi) o di quelli che tutti gli anni parte bellamente e baci e abbracci (ti auguro una bella slavina da primo dell’anno, anche se vai in Kenya), gli altri comuni mortali arrivano ad organizzare qualcosa tipo il 27 sera, guardandosi nelle palle degli occhi, gonfi di disperazione. È in quei momenti che resusciti amici che non vedi dal primo vaccino per l’antirabbica, a parenti così lontani che il legame di sangue manco col binocolo. Che poi inizia quella fase del “mi hanno detto che c’è una festa”. Minchia la festa. Che non si capisce mai chi la organizza, dove sia a che ora finisca, quando inizi e chi ci sia. Mistero della festa. Andarci e provare ad essere invitati è praticamente una prova spirituale, un rito di iniziazione da società tribale del Borneo.

“Forse ho l’amico che ha l’aggancio…sai ora chiedo e ti dico perché siamo già in tanti.. Massì vedrai uno più uno meno non succede nulla.. Comunque ci sentiamo nel pomeriggio che ti confermo.. Però guarda non ti assicuro perché non so neanche io chi c’è” e altre allegre palle di Natale.

 Ma del resto è il 29 Dicembre e tu ci credi. Che poi pensi, nel tuo intimo, chissà che festa esclusiva da matti della Madonna e di tutti i Santi che sarà. Alla fine della fiera, che tu ci riesca ad andare o no (buona la seconda), credimi la festa è una serata normale, anzi. E te lo testimonia il fatto che nel buffet “ognuno porta qualcosa” style c’è, immancabile una torta salata, appena appena tiepida agli spinaci, che è una roba da malinconia che a confronto il conto alla rovescia su RaiUno nello speciale con Carlo Conti, la Carlucci e l’orchestra di Paolo Belli sembra il Carnevale di Rio.

sabato 14 dicembre 2013

PECCATI DI GALA



È arrivato il momento di scrivere qualcosa sul fantastico Gala di Natale della Bocconi. Vi giuro, ho provato a trattenermi, con tutto me stesso. Ma è più forte di me. Avete presente quando avete la pipì e vi fanno sedere in macchina, magari sopra una delle sospensioni e la vescica inizia, ad ogni scossone, a ballare una quadriglia irlandese. Ecco, il mio stimolo irresistibile è stato tipo questo. Non potevo esimermi perché il Gala è l’evento più glam, top, vip, fashion, exclusive, luxurious dell’anno (ho la nausea) e se non ci vai sei fuori. Ma anche se ci vai devo dire che non stai tutto a posto con la testa.

Cominciamo da una prima considerazione. 35 euro di biglietto. Mannaggia la puttana. Fine della prima considerazione.

Seconda considerazione. No, ma davvero 35 euro!?!?!?!? State scherzando!?!?!?!?!? 35 euro ma per davvero!?!? cioè ma siete sicuri non sia un acconto sul MAV del semestre??!?! Io resto allibito. Sono una botta di soldi mica da poco. Gente si è giocata così il regalo di laurea. Che, tra l’altro, la vendita è stata impietosa. Dire che sono stati venduti subito è riduttivo. Diciamo che i biglietti, a contatto con l’aria, sono sublimati, come la naftalina nell’armadio. Solo allora, quando i veri nababbi avevano già comprato una dozzina di biglietti a testa, si è scatenata la ricerca furibonda di altri biglietti sottobanco. Scene da mercato nero dopo la Seconda Guerra Mondiale. I poveretti senza biglietto, hanno dovuto girare tutti i gruppi Facebook, elemosinando un biglietto, affidandosi a presunti amici di amici in possesso di fantomatici plichi di biglietti invenduti o a bagarini senz’anima, che gli hanno venduto l’ingresso a condizioni da semi-usura:

“Dunque, ecco a te il biglietto..”
“Ah perfetto, grazie! Quanto ti devo?”
“Bene, come d’accordo sono 35 euro, a cui aggiungere la corona imperiale inglese di oro massiccio, pesante 7 libbre e 6 once, valutata 1110 sterline, la corona d'oro massiccio della regina, pesante 3 libbre e 10 once, valutata 338 sterline, 3 scellini e 4 denari, il mento di San Giovanni Battista, una coppia di gorilla albini in età adulta e una libbra di carne umana. Ah, dimenticavo, mi parlavi di tua sorella salutista…sai mica quanto viene un rene umano in franchi svizzeri?”

I peggiori sono quelli che, invece, non lo comprano ma magari ce l’hanno avuto gratis per traffici piuttosto loschi e lo sottolineano ad ogni momento “No guarda, cioè, io non ci sarei mai andato, ma sai me l’hanno regalato. Ah quanto hai pagato? Io nulla sai, conoscevo quelli che lo organizzano”. Simpatici come un capello in una portata da ristorante. Tra l’altro, ne sono certo, metà di questi pezzi Carso mente, spudoratamente. In realtà la fila da comune mortale l’hanno fatta anche loro, anzi si sono finti gravidi per passare davanti, ma sai, se sei élite, lo devi rimarcare ad ogni momento, anche se io non ti ho chiesto niente, infame.


Ma veniamo al top. Alla sera che tutti aspettano. Gli uomini sembrano tutti dei Ken sessualmente esuberanti e finanziariamente seducenti, belli, sorridenti, eleganti. Maestri indiscussi di galateo e arti cavalleresche. Le donne, invece, modelle mozzafiato, candide, ma ammiccanti allo stesso tempo. Roba da far saltare via i pantaloni come fossero caricati a molla.

SEH, VI PIACEREBBE!!!!!

Quest’anno ho potuto notare, non senza un certo sgomento, che il gusto è stato investito da un gatto delle nevi. Si perché, durante il Gala c’è il malsano rito della foto, per far sognare a tutti il brivido del red carpet. Bene. Quest’anno la galleria fotografica è stata inquietante. Roba da carnevale di Viareggio. (leggendo la descrizione immaginatevi una qualsiasi colonna sonora supercafona da cinepanettone targato Boldi e de Sica, nda) Gente con cravatte così brutte che per un attimo ho creduto si fosse starnutita addosso; altri con cravatte fantasia stile “scranno reale Luigi XIII”; ragazzi che hanno abbinato ad un completo nero una scarpa estrosa blu cobalto. A guardarli in foto, questa classe dirigente del domani mi è sembrata un po’ gonfia. Sarà stato il papillon che li impiccava o la scelta di una camicia di una taglia infelicemente più piccola, ma mi è sembrato che alcuni stessero per scoppiare, con questi faccioni tondi come culi. Poi ovviamente c’erano loro, i cartonati, ossia quelli che in tutte le foto hanno sempre la stessa posa ed espressione, che è, generalmente, una via di mezzo tra la colica causata da un abuso di frutta secca e l’embolia gassosa arteriosa da immersione. Ma il fotografo sadico non ha risparmiato neanche le donzelle: certi quarti di manzo da banco del salumiere, fasciati da pretenziosi abiti da sera, che davano l’effetto di star sfogliando un catalogo di Divani e Divani. Quanta opulenza. Alcune hanno pure sfoggiato il tacco a zeppa, che fa così tanto Jacqueline Kennedy. Altre, invece, hanno optato per l’outfit “Natale a Cracovia”, un misto di scosciamento, décolleté da quote latte e malattie sessualmente trasmissibili (impareggiabile la lingua fuori alla Miley Cyrus dell’alta borghesia, o lo sguardo truce da gattona dominatrice, già).


Una nota a parte merita il cibo. Scarso. Il diabolico catering ne mette a disposizione una quantità “leggermente inferiore” alla domanda degli invitati, scatenando dei tumulti popolari, da assalto ai panifici. Gente che si mena, si addenta dita a vicenda scambiandole per cannelloni, si sputa addosso. Alcuni danno anche indicazioni sbagliate su dove trovare le cose “dove sono i piatti? Ah non lo sai, quest’anno te lo dovevi portare da casa. Si si vai pure a fare un salto a casa tua, ti tengo io il posto in fila…..coglione”. Ma la cosa grave è che quando finalmente ti ritiri dalla bolgia infernale con il tuo magro bottino (una tartina, due fette e mezzo di salame, un cucchiaio di maccheroni al sugo e un pezzo di lasagna, che il cameriere ti ha servito, per sbaglio, sopra la fetta di pandoro che avevi nel piatto) realizzi che la definizione “scarso” non era solo quantitativa. Ogni anno, il Gala è infestato da portate degne della più cruenta guerra batteriologica. Immancabili nella formazione gastronomica sono: tartine scongelate a nido di rondine con ripieno della stessa consistenza del cerume al gusto polvere, maccherone al sugo freddo, che sembra nel piatto di mangiarsi una scultura futurista, lasagnina al grasso da scarpe, crepes salata ideale per il lancio con riporto a Parco Sempione e per finire panettone/pandoro in compensato misto acrilico (gusci di noce e arachidi in tracce). Questi sono degli evergreen. Senza quelli non è Natale. Io sto prendendo in seria considerazione di attrezzarmi e l’anno prossimo aprire una piadineria temporanea nelle vicinanze. Vedrai poi il ricco Natale.


Ultima considerazione. Io non ho mai, ma dico mai capito, perché a nessuno sia venuto in mente, in tutti questi anni, di mettere nella sala qualche sedia. Mica tante dico, giusto una ventina. Lo dico perché nel corso della serata vedi che lentamente la gente si accascia al suolo, perdendo conoscenza e sensibilità agli arti inferiori (specialmente le donne, che solo a casa scopriranno di avere le stimmate sui talloni come il Redentore). La visione di insieme è quella della stazione Centrale alle tre di notte a Gennaio: capannelli di gente mezza intontita che bivacca l’una addosso all’altra, senza scarpe. Alcuni tentano anche di accendere un piccolo fuoco. Fosse costato un po’ di meno il biglietto, uno gli faceva pure la carità. Che a Natale, peraltro, vale pure doppio.

venerdì 29 novembre 2013

DECALOGO DEL RIBELLE MODERNO




In questo momento di grave crisi, di larghe intese, di borselli stretti e di tasche bucate; in questo periodo di conformismo dilagante e illiberale, è arrivato il momento di riscoprire il valore della disobbedienza civile. Ma come fare ad essere dei ribelli senza arrivare tardi ad aperitivo, o senza farsi ritirare la carta punti del supermercato che poi non riesco a prendermi quel bel servizio da sei per fare la fonduta in casa che piace tanto ai miei amici quando vengono da me e ci guardiamo assieme quel gran pezzo di servizio ad utenza pubblica di Michele Santoro martire? Perché diciamocela tutta, per far la rivoluzione ci vuole proprio del tempo. E mica poco. Che uno avrebbe anche da andare a pilates: non mi pare che il ventre piatto alla Che Guevara mi possa venire solo a colpi di scioperi, manifestazioni e sanpietrini. Poi se ci metti anche che dal parrucchiere una volta al mese uno ci deve andare per forza (perché va bene essere contro ai doppi stipendi, ma anche le doppie punte non scherzano) e che il lunedì sera a Squadra Antimafia cari miei non rinuncio (combattiamo il crimine organizzato a suon di dati Auditel) per tutti i diritti umani del mondo, insomma, di tempo non te ne resta mica tanto. Ecco allora dieci semplici istruzioni da seguire per preservare la voglia di protestare in corteo, ma dal taxi; per gridare la propria disobbedienza sociale, ma non dopo le 23 come da regolamento condominiale; per essere (o tornare ad essere o diventare) un rivoluzionario moderno, che lancerà pure le molotov alle manifestazioni, ma solo se sono piene di champagnino.


        I.            Non lavarsi le mani dopo che si è usciti dal bagno (è la propaganda borghese e reazionaria che impedisce agli individui di avere un rapporto libero con il proprio corpo; nulla che riguarda quest’ultimo è, pertanto, da disprezzare o allontanare. Bando alle inibizioni –gli estremisti veri possono pure abolire la carta igienica).


      II.            Riponi i prodotti che non compri dal carrello in posti diversi dai loro reparti di appartenenza (es. gli assorbenti nella zona surgelati, il bourbon tra i farmaci, le supposte nella zona caramelle, i preservativi nel reparto “feste e decorazioni”; confondiamo il capitalismo senz’anima).


    III.            Attacca le gomme da masticare sotto i banchi (basta con questa squola che ci costringe e non ci libera, che ci impone un indottrinamento reazionar-clericale. Eviterei di buttarle per terra però che la bidella del secondo piano ha degli zoccoli anti-infortunio di ghisa e un passato da campionessa regionale di lancio del martello).


    IV.            Fai le puzze in ascensore (in guerra, tutto vale, comprese le armi batteriologiche; mi pare fosse Marx che diceva: “due cose non scorda mai il buon rivoluzionario: la foto della mamma, e una mutanda da cambiare nel vestiario”).


      V.            Tocca i quadri nei musei, i vestiti nelle vetrine, gli oggetti sugli scaffali (solo il padrone, tronfio della sua proprietà, crede di poter limitare il popolo e il suo sviluppo e la sua curiosità; la libertà è a portata di mano e se si rompe possiamo sempre dire che l’abbiamo trovata già così).


    VI.            Indica le persone di cui stai parlando (tra i fratelli rivoluzionari non ci può essere divisione di alcun tipo, alcun ostacolo alcun imbarazzo; nel caso il soggetto in questione sia parecchio grosso, assicurati che tra te e lui ci sia una mezza dozzina di carreggiate trafficate all’ora di punta. A Tokyo).


  VII.            Fregati i bicchieri della birra/ vino che ti piacciono di più al bar (la proprietà privata è un invenzione dell’Occidente capitalista ed oppressore. Usata come strumento di sfruttamento e di divisione dei popoli che sono un solo popolo; poi al massimo lo uso come portapenne).


VIII.            Condividi, linka, inoltra, tagga, metti like a tutti i posts, status, pagine impegnate socialmente, femministe, animaliste, animiste, attiviste (la partecipazione è innanzitutto di intenti, di ideali di anime. Non lasciamo che la vecchia utopia della piazza, così strumentalizzata da rivoluzionari traditori, ci faccia sentire inadeguati. Il Web è la nuova piazza, il Web è la vera salvezza. Che poi il giorno della manifestazione non si trova manco un parcheggio e metterla in quello a pagamento per due ore mi scoccia). In alternativa, segui tutti i programmi televisivi di approfondimento politico, scegliendo quelli più sovversivi, anti-governativi e complottisti (perché nel corrotto Far West mediatico, siamo ciascuno di noi è chiamato ad essere shareiffo dell’informazione).


    IX.            Non allacciare la cintura di sicurezza nel tragitto che va dal vialetto al garage e viceversa (perché nessuna legge può impedire un rivoluzionario di muoversi liberamente e di riappropriarsi della strada che è il suo mondo, tranne la zona a traffico limitato che se le telecamere sono accese ti arriva una multa che poi non puoi uscire per un mese per pagarla).


      X.            Non obliterare il biglietto del tram o del treno (riappropriamoci dei trasporti pubblici, che sono diventati aziende impersonali senz’anima, schiave del profitto e dell’interesse di lobby piuttosto che strumento sostenibile di ripiano delle condizioni di vita di tutti i cittadini. Non ci faremo intimidire dal controllore corrotto di cui non riconosciamo l’autorità e in ogni caso se prendi il Frecciarossa la prenotazione la fai online e manco ti serve il biglietto).


    XI.            Bara nella pesatura della frutta al supermercato (la Terra è madre di tutti noi, indistintamente e per questo nessun ostacolo deve essere posto al godimento dei suoi sacri frutti, che nutrono tanto il forte quanto il debole, il povero quanto l’abbiente. E se mi capita, nel sacchetto delle Renette ci metto tre mandarini, un pugno di noci e due cachi, che è pure la loro stagione.


(SI, AVETE LETTO BENE, VI AVEVO PROMESSO UN DECALOGO E INVECE I PUNTI SONO UNDICI. QUESTO PER RIVENDICARE LA MIA LIBERTA’ DI PENSIERO E DI ESPRESSIONE ANCHE RISPETTO A ME STESSO. CHI SONO IO PER PORRE CON UN TITOLO INTIMIDATORIO LIMITE AL MIO DIRITTO DI AUTODETERMINAZIONE ATTRAVERSO LA LIBERA SCRITTURA? SONO UN RIBELLE, NON DIMENTICATELO, E NON DEVO DAR CONTO A NESSUNO DELLE MIE AZIONI, NESSUNO PUO’ ASSOPIRE IL MIO FUOCO E LA MIA SETE…scusate, mi chiama mia mamma che è pronto a tavola e se non vado subito si incazza perché si incolla tutta la pasta e dice che lei non è mica la serva che se la gratta tutto il giorno e la pagano per cucinare, perché è rientrata da lavorare alle sette e pure lei è stanca come tutti……PHASTA LA REVOLUCION!!)

domenica 24 novembre 2013

LA DURA VITA DA FASHION BLOGGER




Ragazzi è arrivato il momento per me di essere magnanima, di supportare con un contributo piccolissimo le minoranze ( anche perché quest’anno mi sono dimenticata di donare l’8 per mille ). E' arrivato  il momento di essere un pelo più buoni con tutti perché il conto alla rovescia verso il Natale si fa sempre più incalzante. 
Già mi aspetto che domani milioni di mie amichette su faccialibro scriveranno “ meno un mese a nataleeee.. si !!! “ . Ragazze io vi amo, giuro. 
Ma non divaghiamo, la specie da salvare questa volta è quella dei grandi e infaticabili Fashion Blogger. 
Lo so cosa state pensando… che a furia di mangiare intolleranza mi sia rincoglionita. Ebbene no sono molto seria. 
Voi non saprete mai cosa sia la vita dura se non provate almeno un giorno da Fashion Blogger .  
Ma parliamoci chiaro la vita da fashion blogger è tremenda!!! 
Un Fashion Blogger si sveglia ogni mattina e sa che dovrà scattare più foto lui/lei di un autovelox. 
Fa colazione e sa che dovrà fotografare tutto quello che ingurgita per finta. Si, perché come potete vedere dai loro fantasmagorici profili Instagram, loro fanno foto di colazioni che nemmeno cicciobombo cannoniere ma poi in realtà si mangiano solo un chicco d’uva marcia così poi gli viene la dissenteria e un chilo lo perdono easy anche oggi. Ma a voi devono far vedere che “ zio mangio come se non ci fosse un domani ma cioè ho un metabolismo cioè che mi brucia proprio tutto... cioè non so come sia possibile anche alla mia cugina di terzo grado modella capita “ GIAH . 
Altra disgrazia che questa specie protetta ha è avere tutto il giorno dietro il loro santo e piatto culetto un fidanzato che, per quanti sforzi di immaginazione possiamo fare, non sarà mai eterosessuale ma accetta di stare con loro solo perché sogna un giorno di poter essere lui il fotografato più fiko dell’anno .
I vestiti che spesso sono obbligate a indossare sono così  brutti che alla Rinascente stanno al reparto "Se compri un capo ti ridiamo indietro i soldi e un buono gratuito per il Burger King". E appena sbagliano le follower haters accanite sono pronte a farglielo notare. Che violenza sono costrette a subire. Anni di psicanalisi per riprendersi dagli insulti ricevuti. Un blogger che ha più nei di Bruno Vespa è stato preso in giro per mesi per questa sua patologia incurabile. Me lo vedo la sera piangere davanti allo specchio o buttarsi da un precipizio con una palla di piombo attaccata al piede urlando "Fanno carattereeee....eeee" SSPLASH
Loro sono obbligate a sposare uno stile di vita politically correct. Loro vorrebbero tanto indossare pellicce e paraorecchie di visone. Ma se lo dovessero fare per loro sarebbe la fine. SONO TRAUMI, il mio pensiero ogni sera va a le povere fashion blogger con le pellicce sintetiche di eco pelo. Potete scorgere una lacrima nelle loro foto. 
Potrete obiettarmi : si ma viaggiano un sacco . Vero, questa cosa effettivamente mette invidia anche a me  ma non mangiando e non scopando MA COME SI DIVERTONO?! Che tu sia a Singapore o Cassinetta di Lugagnano è la stessa cosa. 

insomma un po’ di rischi della carriera da fashion blogger ve li ho elencati. Se non siete convinti fino in fondo e questo percorso lavorativo vi fa comunque rizzare i capezzoli vi voglio rincuorare tenete duro perché mi sto già muovendo per creare per voi un sindacato. 

mercoledì 20 novembre 2013

LE SETTE COSE CHE TI FANNO GIRARE LE PALLE DI PRIMA MATTINA





1.      Alzarsi tutti tiepidi dal proprio letto e appoggiare i piedi per terra, convinti di trovare le ciabatte e invece infilare il piede destro nella ciabatta sinistra e toccare col piede sinistro il pavimento freddo come una lapide perché la stronzissima ciabatta mancante è finita sotto il letto.


2.      Accorgersi di aver comprato biscotti, marmellata, fette biscottate, cereali al cioccolati, integrali, con le fibre, ma di aver finito ieri l’ultimo cartone di latte e di non averne più in casa, ovviamente (sapendo di non poterne chiedere una tazza alla vicina del secondo piano, che porta una quarta estroversa, dato che la volta in cui le hai chiesto un po’ di latte hai rimediato soltanto una commozione celebrale).


3.      Farsi la doccia con l’acqua fredda perché il boyler è rotto, è spento, non ha scaldato o non so che altro ( ti faresti la pipì addosso se potessi per scaldarti, ma dopo il primo getto di acqua a sette gradi centigradi tutto quello che esce è brina).


4.      Vedere, mentre si cammina per arrivare alla fermata, il tram che devi prendere passarti davanti, con il conducente che ti fa ciaociao con la manina. Confidi nel maxi-tamponamento.


5.      Constatare che il tuo treno/tram ha un tempo di arrivo stimato da rivoluzione di un corpo celeste. Ovviamente quando arrivi ti chiedi se quella sia la linea giusta o la tratta che va direttamente a Bombay vista la gente che c’è sopra. Ti pare di scorgere in fondo anche due vacche e una mezza dozzina di galline.


6.      Dimenticare sullo stronzissimo tavolo le chiavi, il portafoglio o (sublime) il caricatore del cellulare. Ti si apre davanti agli occhi un terribile dilemma morale: tornare indietro perdendo così metà mattina.



7.      Partire con la pioggia. Farsi il tragitto con la pioggia. Veder spuntare il sole appena arrivati (riprenderà a piovere non appena timbrato il cartellino di uscita)

mercoledì 6 novembre 2013

GUIDA RAPIDA E POSTUMA AL BOCCONI&JOBS


 Il 5 Novembre scorso si è tenuto il Bocconi and Jobs day. E mi viene da dire che benessere. È l'evento, per chi non lo sapesse, che permette agli studenti di incontrare i rappresentanti di varie aziende, lasciare il proprio CV, baciare la pantofola papale e magari mendicare un internship (stage non si dice più dal 2007, perdenti!). Centinaia di studenti si ritrovano così a vagare per delle ore, spaesati, ripetendo sempre le stesse cose (la maggior parte delle quali balle) e sentendosi rispondere sempre le stesse cose. Ma uno ci deve essere, sempre se sei maschio Loden, hai la pretesa di accoppiarti con una donna Louboutin e darti da fare per il tuo radioso futuro tra amministrazione creativa, gestione burlona e finanza unpo’comecazzocipare. In caso contrario la considerazione che devi avere di te è paragonabile a quella di cui gode la tignola della farina. Tuttavia non è facile approcciarsi ad un evento del genere e neppure capirne gli aspetti più rilevanti.
 Ecco la rapida guida postuma al Bocconi and Jobs (postuma ovviamente per la sbornia).

1.       Al B&J chi va per fare un giro si veste come capita, chi deve lasciare il curriculum ha obbligatoriamente la giacca. Anzi puoi capire quanto hanno bisogni dello stage dalla progressione del vestiario: si va dalla giacca con le toppe di chi “vado mi informo, ma senza impegno”, alla giacca scura con camica bianca aperta di quello che “ho già un mezzo accordo con un’azienda ma vediamo se riesco a trovare l’occasionissima”, per finire con frac-camicia di lino-cravatta Regimental- doppiopetto-gemelli di madreperla-scarpa laccata di chi “vi prego prendetemi a fare uno stage anche come phon asciugamano da toilette altrimenti non mi laureo e mi tocca subaffittarmi il sedere per pagare la retta del semestre”.
2.       Puoi parlare con chi vuoi, dare in giro tutti i curricula che vuoi (che per la cronaca sarebbe meglio stampare già su carta da kleenex), ma tanto alla fine “guarda comunque tu vai sul sito, sezione careers e mandaci l’application”. Ti ci vorranno circa tredici colloqui di questo tipo per farti venire il sospetto che quest’application non si scarica da iTunes e non serve l’aggiornamento ad iOs 7.
3.       Quelli della Credit Suisse hanno le mentine più buone.
4.       Se sei del secondo anno ti dicono che cercano persone del terzo. Se sei del terzo, in realtà sarebbe meglio tu fossi laureato. Se sei laureato, magari aspetta di finire la specialistica. Se sei specializzato, occorrono persone con già qualche esperienza. Se sei plurilaureato, specializzato, masterizzato, tutor, assistente, professore di ruolo, dean della facoltà, in realtà loro sono lì per caso, non sono neanche di Milano, hanno già mandato via gli altri Testimoni di Geova che son venuti proprio ieri e ti hanno fermato solo per chiederti dov'è il bagno.
5.       Non raccontare balle perché ti sgamano. È inutile che gli dici che parli correntemente nove lingue di cui tre neolatine, quattro orientali e due lingue morte, che hai esperienza di scambio e didattica all’estero, in particolare della zona centro-nord-sud americana, che per te la varianza è una danza che si balla nella latitanza e che hai sostituito i comandi di Fifa sulla Xbox con option-call-put-plain vanilla(per crossare) se poi ti presenti con lo zainetto dell’Invicta. Lo sanno che racconti balle. Almeno non essere patetico.
6.       La gente va lì per dare il curriculum, ma si consola col gadget. Anzi, ad un certo punto la ricerca dell’internship naufraga diventando una puntata di “Accumulatori seriali” degna di Real time.
7.       (corollario) il settanta per cento della gente che è lì lo fa solo per i gadgets.
8.       (corollario) la competizione per il gadget è furibonda.
9.       (corollario) mentine, cioccolatini, caramelle, gomme da masticare non valgono gadget.
10.   (corollario) molti gadgets, molto onore.
ecco un chiaro esempio di quanto vi sto dicendo circa la legge del gadget e i suoi corollari

11.   Se arrivi in ritardo, l’unico gadget con cui puoi sperare di tornare a casa è la matita in simil-legno fatta con la plastica riciclata. Molle. Ideale per chi soffre di artrosi precoce.
12.   Gli stands dove c’è più fila sono quelli delle marche di trucchi/vestiti o quelli di prodotti sportivi/case automobilistiche (i cervelloni li evitano). Da quelli finanziari non puoi andartene prima di aver firmato per un fondo comune di investimento aperto non armonizzato (eh????!?!).
13.   I più tristi sono quelli che pur di lasciare il curriculum e fare bella figura fingono spudoratamente di conoscere, amare e voler congiungersi carnalmente con l’amministratore dell’azienda per cui sono fermi allo stand (“no guardi le giuro il suo marchio è davvero un’ispirazione. Sia sul piano aziendale che sul piano di immagine. Poi io i vostri prodotti li ho sempre usati sempre. Cioè per me P&G è un must. Voglio dire ha presente quando avete fatto uscire quel cappellino beige con il pelo e i paraorecchie? Io l’ho comprato subito. Che poi si sa P&G è made in Italy, vuol dire eleganza. Che quando è successa quella cosa col sindaco Pisapia per l’evasione fiscale io ero con vuoi. Si figuri poi che è tre anni di fila che vado al Gay Pride a Roma”……no guarda forse ti confondi….)

14.   Stampate i curricula su carta riciclata. Anche quello, a suo modo, è pensare al futuro.

venerdì 1 novembre 2013

HALLOWEEN E I MORTI BEVENTI



Da qualche ora è passato anche Halloween, razza di ubriaconi che non siete altro. Per alcuni questo ha coinciso tra l’altro con la fine degli esami e il binomio gli è stato fatale (in tutti i sensi). Alcool e morti viventi. Anzi, alcool e morti beventi. Si vede che sottoterra fa particolarmente secco e c’è bisogno di oliare le ugole. Devo ammetterlo, ho sempre faticato a capire la festa, o meglio, la dinamica con cui si sviluppa. Voglio dire: è la festa dei morti no? Bisognerebbe fare paura no? Spaventare, richiamarsi al mortifero, al satanico, all’oscuro, no? Bene. Allora non capisco perché per Halloween le donne si vestono da sexylatexstregaslavecumblowjob, mentre gli uomini sembrano degli idioti allucinanti.
 Le prime si mettono dei completi che risvegliano davvero i morti viventi (altroché rigor mortis), strette in corpetti da mucchio selvaggio tutto nudo e tutto caldo, con dei tacchi d’alta quota che gli fanno un seno da porto d’armi e un culo che più che a mandolino è tutta la Filarmonica di Berlino. Se uno da morto fosse veramente così, al cimitero ci sarebbe la coda e il becchino dovrebbe chiamare il numero con l’altoparlante come dal salumiere.
 Gli uomini no. Gli uomini invece sembrano dei notevoli imbecilli. Li vedi poveroni che sembrano dei cretini, col vestito raffazzonato su, con metà roba loro, metà è prestata, una parte è riciclata da un Halloween passato e un’altra fa parte palesemente di un vecchio costume di Carnevale ritrovato chissà dove. Più che spaventosi sembrano dei senzatetto sciancati con su i vestiti della Caritas.
 Che poi il maschio ad Halloween caccia fuori sempre i soliti tre travestimenti. Number one: IL VAMPIRO, con i patetici canini finti che li fanno parlare tutta la sera come quelli a cui si è gonfiata la lingua per una reazione allergica alla frutta secca e il rigolino di sangue dall’angolo della bocca, che si vede anche da notevole distanza essere di fattura ipercasalinga (pennarello o i più arditi tempera). Il tutto corredato dal misero mantello nero, residuo di un costume di Zorro di quinta elementare che nel corso di tutta la serata provocherà una lieve ipossia (se non altro si risparmia sul cerone bianco).
 Number two: IL JOKER, che dalla morte del suo più noto interprete (pace all’anima sua) è diventato un must in ogni Halloween. Il costume da Joker è insidioso perché è quello che presenta il più evidente divario tra il “com’è” e il “come dovrebbe essere”. Si parte carichi da matti, al pensiero che “massì faccio il Joker che è una cazzata, un po’ di trucco, la giacca, il sorrisone…taaac! Vedrai che mi manca solo l’Oscar”. Se, BAU! Dove cazzo la vuoi trovare una giacca viola??anzi un intero completo, cretino? Così il tentativo naufraga in una passata di bianco sul viso, il sorriso orridamente asimmetrico e i capelli inamidati da una bomboletta che prometteva colore istantaneo.
Number three: LO ZOMBIE, che dato che è morto è buono per tutte le stagioni. È proprio il costume della pochezza, di quelli che porca boia mi son trovato all’ultimo a dover andare alla festa e ora che minchia mi metto. Lo zombie è il costume vincente perché basta una mano di cerone, un po’ di sangue stilizzato, un paio di cicatrici fatte con la matita e oplà, fatto! Poi sotto ti puoi mettere quello che vuoi, dalla tuta (eh sai, sono morto sul divano) ai knickerbockers (eh sai, sono morto in un’escursione in montagna) che tanto una cazzata qualunque te la inventi.
Devo essere sincero, certe cose, non so perché mi mettono un po’ di tristezza tipo:
·         Le cicatrici finte disegnate sulla fronte con una riga orizzontale e quattro verticali
·         Le maschere da strega di plastica verde coi buchini per gli occhi
·         Il cappello da strega nero con la punta che si sminchia subito e sembra depresso
·         Le ragnatele finte che certi locali coraggiosi esibiscono tutti gli anni dal 1906
·         Il flyer della festa “dead or alive” con sullo sfondo mani di zombie protese tipo The Walking Dead verso un bicchiere di mojito con sotto scritto “15 euro entrata e free drink” (no guarda, non so perché ma non credo francamente che questa sarà la festa più spaventosa della stagione)
Ma alla fine l’importante è bersi addosso così tanto da essere a posto fino a Natale.
Un’ultima cosa. Onore al merito: un messaggio che mi ha fatto concludere la serata in bellezza e che è stato per me fonte di ispirazione, perché non è giusto dimenticarsi ad Halloween di “gente come me che finisce di studiare a quest’ora, esce e non capisce più un cazzo, pensa di essere a Gotham City tra tipe che sembrano bulgare sulla Romea il sabato sera e joker boys”.

lunedì 21 ottobre 2013

DIECI CATEGORIE DI PASSEGGERI CHE MAI VORRESTI VICINO (II parte)



Come promesso ecco le ultime cinque categorie di gente che non vorresti mai incontrare sui binari della tua lunga vita da pendolare. Perchè il lunedì fa già cagare di suo, non c'è bisogno che ci si mettano d'impegno anche gli altri.

1.       LO SPELEOLOGO. Sedersi accanto a lui è, se ci pensi un onore. Non a tutti, infatti, è data la possibilità di assistere al ritrovamento di un prezioso reperto dell’antichità. L’oro dei nazisti, il tesoro di re Atahualpa, i resti di un ominide morto durante la seconda glaciazione? Un Vangelo apocrifo? L’arca dell’Alleanza? Questo e molto altro, il tutto ben celato nelle sue labirintiche cavità nasali. Appena arrivato si siede, estrae l’attrezzatura e, senza neanche bisogno di imbragarsi, si cala nella narice. Che eroe, che coraggio, che dedizione. La ricerca, a volte, va avanti per ore, impegnando anche più dita alla volta. Il segreto è non perdere la fiducia. Quando tutto sembra perduto, quando oramai il poveretto è arrivato ad inserire anche il polso, voilà, un meraviglioso topazio da tre chili e otto si stacca dalla parete. Aaaaaaaah che gioia, che meraviglia vedere quando gli sforzi sono ripagati. Nei giorni di sinusite violenta, poi, lo scavatore è anche capace di portarsi a casa una serie di smeraldi verdissimi da diadema. Non mi si venga poi a dire che in Italia non si fa ricerca.

2.       L’USURPATORE. L’usurpatore è quello che il posto te lo fotte. Ti sei alzato per andare un attimo al bagno? In un attimo quello entra dal finestrino e hop, si siede al tuo posto. E quando torni si spertica in scuse fantasiosissime, arrivando a negare persino che tu sia mai realmente salito sul treno. Questa categoria è quella che odio di più. È proprio quella categoria che passerei due volte al tritacarne prima di far imbiondire in padella con uno spicchio d’aglio. I peggiori sono quelli che trovi già seduti al tuo posto, nonostante tu abbia regolare prenotazione. Quando gli fai notare gentilmente che si devono levare dalle balle, quelli ti guardano con gli stessi occhi del cane legato fuori dal macellaio: “Eh ma scusi sa, è che al mio posto c’era già qualcuno…abbiamo fatto cambio perché mi dà fastidio essere seduto in direzione contraria al senso di marcia…possiamo fare cambio, il mio posto è quello di fronte alla porta del cesso…sa lo facevo così sto accanto a mio marito…per lei è un problema fare a cambio?”. No guardi, per me non è un problema cambiare il posto con lei, per me è un problema vedere il suo grosso culo sfranto dove dovrei essere seduto io. Io capito, io!! Io mi sono rotto i coglioni a prenotare per tempo, a specificare di stare vicino al finestrino, a scegliere di stare in testa in modo da essere vicino all’uscita e poi arrivi tu, garrula testa di minchia, e ti siedi dove ti tira il sopracitato culo? Ma io ti elimino, ti stermino, ti derattizzo. In confronto a me Francisco Franco faceva l’animatore del miniclub a Minorca. Sa che c’è? Che uso la tua stessa scusa: mi passa cortesemente le sue valige, che dovrei andare in bagno, ma sa, cosa vuole, mi dà fastidio farla stando contrario al senso di marcia.

3.       IL CINOFILO. Premetto che amo molto i cani. Davvero tanto. Li preferisco decisamente agli esseri umani. Ma vi prego, da animalista, se avete una bestia, viaggiate in macchina. Che altrimenti a fine viaggio uno scende dal treno con quella voglia inspiegabile di pelliccia. Il cinofilo è quello che si porta dietro il cane persino in treno. Il problema è che rivolgendosi a te: “Scusi, le dà fastidio se tengo Chicco qui con me?” il padrone canaglia non ti specifica che l’amoresuodelcuore Chicco è un mastino inglese di 115 chili, registrato all’anagrafe canina come Triceratopo, noto per produrre quel litro e mezzo di bava densa come la colla da manifesti e che soffre di una gravissima forma di aerofagia che gli deriva quando è costretto a stare troppo tempo in luoghi molto affollati (e il tuo scompartimento è affollatissimo, che lo dico a fare). O peggio ancora Chicco è un pincher nano, litigioso come una commessa del supermercato, che si dimostrerà sessualmente iperattivo nei confronti del tuo polpaccio sinistro, con cui inizierà un rituale di accoppiamento senza esclusione di colpi. Solo dopo il tuo ennesimo rifiuto, ci piscerà sopra, in segno di spregio.

4.       L’ANZIANO. L’anziano ha un grosso problema: non sa esattamente la sua fermata. I parenti stronzi, che l’hanno caricato sul treno, gli han detto: “Ascolta nonno, te sali, poi se non sei sicuro della fermata….chiedi!”. Maledette cacche molli. L’anziano, che è uomo di una volta, prende il consiglio alla lettera e inizia a chiederti quando è la sua fermata, ancora prima che il treno parta. Una goccia che scava. E ogni volta che il treno si ferma, gli prende la fregola. Fino a che non ti esaspera: “Mi scusi, ma come può pensare che questa sia la sua fermata? Non vede che siamo fermi dentro una galleria?? O lei è il nonno di Batman oppure vorrà dire che non siamo ancora arrivati, no?”. Che poi, per colpa di una prostata ormai spessa come un copertone e il tremolio del treno, l’anziano ha bisogno sempre di andare in bagno, tre o quattro volte. E una legge tacita vuole che l’anziano non sappia mai dov’è il bagno. Così tu lo vedi alzarsi lentamente ed allontanarsi, claudicante. Si fa sempre più piccolo ed incerto. Cominci a preoccuparti quando questo, dopo 45 minuti non è ancora tornato. Neanche fosse il tuo di nonno. Ma dov’è, dove non è, sarà mica caduto, avrà incontrato dei malintenzionati. Lo riporterà al posto il capotreno, dicendo che l’hanno trovato coi pantaloni abbassati che provava a fare la pipì nel cabinotto della centralina elettrica.

5.       IL MANIACO. Una categoria trasversale nella vita. Il maniaco è quello che ti fissa per tutto il tempo, ancora prima che tu abbia obliterato il biglietto. Si siede il più vicino a te, ma non così vicino da invadere il tuo spazio di allerta. Ti guarda e tace. Non sbatte nemmeno le palpebre. All’inizio ti chiedi se sta guardando te o qualcun altro, se magari è perché ti spunta dal naso un faraglione di Scopello. Nel modo più discreto possibile allora ti controlli nell’ordine: naso orecchie bocca capelli guance collo spalle petto mani gambe. Niente. Tutto sembra normale. Ma quello continua. Che poi lo sai benissimo che il modo migliore per evitare i pericolo è non guardarlo, ma tu, idiota, non riesci a fare a meno, è più forte di te, come da bambini quando ti dicevano di non guardare fisso il sagrestano che aveva la gobba. E invece tu guardi, e non appena si instaura il contatto visivo è finita; il maniaco si sente autorizzato ad avvicinarsi ed attaccare bottone con le frasi più patetiche. Farà di tutte per farvi parlare, per sapere cosa fai, dove vivi, cosa studi, se sei fidanzata, dove lavori, quali sono le tue passioni, i tuoi sogni, i tuoi hobbies. Provate a rispondergli “Ho la passione della carne umana, soprattutto alla brace”. Magari capisce l’antifona (in caso contrario, sconsiglio di accettare l’invito a pranzo).

6.       L’undicesima categoria è SPECIAL ONE e sta fuori dalle dieci perché non rientra esattamente nella lista. Sto parlando dei COMATOSI. I comatosi sono i peggiori compagni di viaggio da avere, perché sono i tuoi compagni di viaggio, cioè sono i tuoi amici, quelli che fanno il tragitto con te tutti i giorni. Tu ti aspetteresti da loro un qualche appoggio, invece questi appena si siedono di fronte a te, perdono i sensi. Cadono in uno stato di coma semicosciente: si svegliano solo all’arrivo del controllore, alla terza fermata, e sette minuti prima dell’arrivo in stazione. Per il resto nisba, buonanotte suonatori. Questi sono i peggiori perché ti abbandonano, ti lasciano da solo contro tutti. Guarda bastardo che se volevo viaggiare in compagnia di una salma, mi facevo dare uno strappo da mio zio, che ha una ditta di pompe funebri.





sabato 19 ottobre 2013

77 VOLTE MAX: i 7 motivi per cui è il più grande cantante dall'Unità d'Italia



Sento che è venuto il momento per me di fare un tributo come si deve al più grande dei grandi, al primus inter pares, al Poeta. Sto parlando del Max nazionale. No, non mi riferisco a Massimo Giletti e nemmeno a Max Tortora. Ma solo a lui, all’unico vero ed inimitabile Max. Quello che ha cantato la nostra vita e in cambio vuole solo 20euroesettanta per l’ultimo cd (occhio Max, chè va bene tutto ma la corda dopo un po’ si spezza). Ho sentito di dover celebrare ‘sto gran pezzo di musica italiana dopo aver letto un bell’articolo sulla semantica di Pezzali e dopo essermi posto la domanda: ma perché Max è il più grande cantante degli ultimi centocinquant’anni?

1.       LA RAGIONE DEL SUO SUCCESSO. No aspetta, non avete capito, mi sono spiegato male. Tra LA e RAGIONE ci deve essere una virgola. La, ragione del suo successo. Lontano dalle pretese canore e stilistiche superflue, ma sempre fedele alla regola che squadra che vince non si cambia, Maximilione ha capito che scrivere tutte le canzoni con la stessa tonalità è la via. E così, da trent’anni a questa parte, sono passati il groppo in gola il cuore che batte i tacchi alti e la gonna corta, ma lei no, la nota accessibile, la nota musicalmente nazionalpopolare è rimasta. Diventando marchio di fabbrica inconfondibile. Se la scelta sia stata legata alla scarsa disponibilità di ottave del cantante o ad una precisa Weltanschauung artistica è un segreto che si porterà Repetto nella tomba.

2.       KARAOKEY. Il secondo motivo si ricollega al primo. Max non è solo Profeta e Poeta. È anche uomo umile e modesto. Per questa ragione si è sempre guardato bene dallo sfoggiare le sue innegabili doti canore (no Max, avere tre cani non vuol dire avere doti canore….). Perché Max quando canta è l’uomo qualunque, anzi è l’uomo chiunque e come tale chiunque può cantare come lui. Vi sfido infatti a partecipare ad un karaoke in un qualunque sabato sera presso un qualunque bar lungo tutta la nostra penisola senza che qualcuno proponga un “Nord sud ovest est” o “Hanno ucciso l’uomo ragno”. Vi sfido. Tra l’altro la vittoria è assicurata, proprio perché non conosco persona al mondo che canti male una canzone di Max e così anche chi è stonato come un’autoambulanza, che durante questi eventi si sente emarginato, può godere di quattro minuti e venti di gloria pura, grazie anche al coro di voci galvanizzate che sempre si solleva durante una sua canzone (grazie Max).

3.       L’ABITO NON FA IL MONACO. Altro motivo di stima assoluta di Max è senza dubbio l’aspetto fisico, che diciamo che rema un po’ contro. Non è, infatti, facile riempire palazzetti e far cantare un popolo intero vestendosi come un magazziniere di una ditta di laminati. Eppure Lui ce l’ha fatta, checché se ne dica. Già da ragazzo il nostro eroe non era esattamente un adone che ti scalda come un termosifone (nonostante all’epoca intasasse alcuni suoi video di astrofighe da maneggio…dai Maxxi, non sei credibile, abbassa un po’ il tiro). Poi il tempo è passato. Come una mototrebbiatrice. E a ben vedere ha fatto anche retromarcia diverse volte. Nonostante sia senza capelli, abbia delle occhiaie da violenza domestica e si sia inspessito come un piumino invernale, ha avuto comunque il coraggio di presentarsi a Sanremo e di organizzare un tour lungo un sogno. Max è l’uomo che non ha paura di invecchiare e di mostrarsi così com’è (sì Max, ma se continui così la paura poi ce l’hanno gli altri).

4.       SE SOLO AVESSI LE PAROLE. E Max ce le ha. Cazzo se ce le ha. Sempre giuste. Sempre esatte. Lui conosce la vita e te la racconta. Ti insegna la tua esistenza. E canta ciò che ti è capitato o ti capiterà. È un po’ come gli oroscopi di Paolo Fox. E tu quando lo ascolti non puoi fare a meno di dire “Porca vacca è proprio vero..è proprio così..sto cazzo di Peugeot in salita fa una fatica da porco che mi tocca scendere e spingerlo io da dietro, che poi mi costa un totale di RCAuto..la prossima settimana mi faccio l’abbonamento ai mezzi”.

5.       MAXKETING. Max è l’unico artista che ha capito la forza coagulante delle canzoni brutte. Scientemente ha deciso, da un po’ di tempo a questa parte, di fare canzoni oggettivamente imbarazzanti (Maxi tuttoaposto??). Ovviamente questa non è altro che una mossa di marketing brillante. Infatti tutti i fans, non appena hanno sentito ‘ste vaccate allucinanti hanno gridato tutto il loro dolore come fanno i gabbiani quando vanno a morire e si sono rifugiati nelle vecchie canzoni, unico lenitivo alle ferite musicali inferte dal loro idolo. Ma si sa, Max ha costruito tutta la sua carriera sull’adagio “si stava meglio quando si stava peggio” e il suo sostenitore medio è intrinsecamente convinto di questa verità. Max non fa altro che rafforzare in loro tale convinzione, che il passato è sempre migliore del presente, che tutto passa e tutto se ne va e che, in definitiva, “si stava meglio quando si stava Max”.

6.       MAXIMA COERENZA. Parliamoci chiaro. Pur essendo il cantante della Verità, Maximilione non ha mai avuto dei gran contenuti: amici, birra, motori, patata, due di picche, abbandono, patata, inadeguatezza, amore, nostalgia e patata (o nostalgia della patata, vedete voi). E questa scelta l’ha portata avanti sempre. Non è di quei cantanti che si svegliano una mattina e decidono di impegnarsi. Di darsi un tono perché alla fine se sulla carta d’identità mi faccio aggiungere che sono anche intellettuale entro gratis al cinema il martedì e il giovedì. Voglio dire, uno può uscire da Amici e poi avere la pretesa di cantare di bolle speculative sui titoli immobiliari, disoccupazione strutturale e del Mistero dell’Immacolata Concezione? Bah. Max invece no, non è sceso a compromessi. A costo di scrivere delle banalità disarmanti, non tradisce mai. Piuttosto scade nel bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. E sono convinto che va ancora a ballare al pomeriggio e che il sabato pome gira ancora per Pavia a fare le penne, anche se il medico gliel’ha sconsigliato per via dell’ernia.


7.       PETER MAX. Max Pezzali come Peter Pan. Tutti quelli che non vogliono crescere, che giocheranno a calcetto tutta la vita, che organizzeranno le cene di classe anche superati i cinquanta, che rimpiangeranno i Pokemon e il Gameboy color trasparente (o nell’improponibile versione viola), che rimpiangeranno la terza liceo, che si racconteranno per la trecentonovantesima volta degli scherzi fatti in gita di classe, che rimpiangeranno l’estate caldissima come condizione permanente dell’anima, che si lasceranno tentare dal rifarsi il codino, dal rimettersi l’orecchino, dal risentire una ex, dal riesumare il lettore cd portatile, dalle AirMAX (è un caso??????io credo di no), dalla cintura con la fibbia modello cintura di sicurezza dell’aereo e dal Bacardi al limè non potranno che amare Max per tutta la vita, perché, lui l’aveva già capito, eravamo felici ma non lo sapevamo.

lunedì 14 ottobre 2013

DIECI CATEGORIE DI PASSEGGERO CHE MAI VORRESTI VICINO



Scrivo questo post in un momento di grave difficoltà d’animo. È lunedì mattina, e già partiamo male. Piove, come tutti i lunedì incattiviti di autunno. E quando il lunedì piove, hai l’impressione che a pisciarti addosso sia la settimana tutta intera. Male male. Sono in treno. Questo dice praticamente tutto. Ovviamente il treno in questione è un regionale veloce (grazie Trenitalia per la raffinata ironia) che puzza di piscio, sudore e paura. Oggi visto che piove, alle note acidule di ascella ancora assopita, si aggiunge un intenso odore di cane bagnato. Mi è molto difficile in momenti come questo non desiderare un deragliamento coi fiocchi. O una bella bomba carta nel bagno del treno. Non solo per il treno in se, che ovviamente viola diversi requisiti fissati dalla Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, ma soprattutto per i miei compagni di viaggio, una di quelle fette di umanità da colite ulcerosa. Perché “l’inferno sono gli altri” come diceva Sartre. Figurarsi di lunedì mattina

1.       IL CENTRALINO. Il centralino è una piaga da decubito. È quello che appena poggia il sedere nel vagone riceve o fa una telefonata che dura fatalmente tutto il viaggio. Sei ore e quaranta di conversazione senza scatto alla risposta. Ma che cazzo hai da dire per tutto quel tempo!? E soprattutto, a chi!? Si parte dal tempo, per passare alla famiglia, gli amici, la serata trascorsa, i morti, la settimana che viene, la crisi in Medio Oriente, l’acquisizione della Telecom, il mistero della transustanziazione del corpo di Cristo, passando per l’ultima giornata di campionato e i risultati della rettoscopia. E tu preghi disperatamente per avere una galleria. Invece niente, assistito da una copertura campo da Radio Maria, il centralino non molla un momento, alzando se possibile la voce e diminuendo le pause per la respirazione. Il peggio è quando, però, ad essere al telefono è uno straniero, che parla nella sua lingua madre. Oggi c’era di fianco a me una cinese che ha parlato, penso, dell’intera dinastia imperiale, ovviamente in mandarino. Sceso alla stazione ho fatto immediatamente un esamino di certificazione C2 di lingua che fa tanto curriculum.

2.       LA PROLE. Come sono belli i bambini. Già. Solo se salgono su altri treni però. Perché se salgono sul tuo, nel tuo stesso scompartimento, l’istinto di continuazione della specie viene azzerato. I piccoli bastardi, infatti, sono metodici. Srotolano, nel giro di un paio d’ore, tutte le ottave di cui madre natura li ha muniti. E così iniziano a piangere al fischio del capotreno e smettono quando finalmente scendi in stazione con le stimmate alle orecchie. Signora, porca vacca incinta, ma suo figlio è posseduto o ha ingoiato un antifurto? All’inizio tu li guardi e sorridi benevolo, così piccoli, candidi, indifesi. Alla fine sono angeli con i lacrimoni e un piantino è adorabile. Col passare del tempo cominci a chiederti qual è la velocità massima che può raggiungere un passeggino lanciato fuori da un treno in corsa, o se fai ancora in tempo ad iscriverti a quel corso di tiro al piattello che fanno vicino casa tua. Finisci col pensare che la decima piaga d’Egitto era roba da principianti (che era quella dove muoiono i primogeniti, ndr).

3.       DITTA TRASLOCHI SU ROTAIA. Sono quelle (si quelle, perché sono sempre fatalmente donne) che partono con otto valigie, cinque borse, quattro zaini, tre marsupi, due tracolle e un baule da viaggio stile Luigi XIII, sei cappelliere e una voliera. Cinquantadue chili di femmina per un totale di sette tonnellate e mezzo di merce. Roba da trasferimento abitativo di terremotati. Ovviamente la poverina arriva trafelata e il minimo che possiate fare è darle una mano; se non fosse che la pulzella non vi ha comunicato di fare come mestiere l’occultatore di cadaveri per la mafia, che ha riposto, affettati, dentro i bagagli. La conseguenza è un’ernia grande come il cranio di una scimmia e una tachicardia ventricolare da corridore di triathlon sovrappeso. Il problema è che tutta quella fiera di valige non starà mai tutta fisicamente nei ripiani sopra i posti a sedere. Questo ti costringere a fare un viaggio da contorsionista ungherese visto che i restanti bagagli vengono disposti tra i passeggeri. E così dovrai viaggiare con una gamba in spalla, un gomito in bocca, su un piede solo, seduto sul bracciolo. Se passa Gino Strada è capace che vi scelga come testimonial fotografico della campagna contro le mine antiuomo. Sennò, male che vada, ho sentito che al Circo Togni assumono.

4.       IL MUSCHIATO. Ora io mi chiedo se in giro vendano delle camicie pre-sudate, già con la pezza incorporata, magari in un sacchettino a parte come si fa coi bottoni di ricambio. Perché è umanamente impossibile puzzare già alle 8 e venti di una mattina di ordinaria follia. Porca miseria, o abiti in un peschereccio o sei sonnambulo e hai dormito tutta la notte su un tapis roullant acceso. Tu lo vedi il muschiato, o meglio lo senti. Lo identifichi per il fatto che alzando un braccio è in grado di far appannare i finestrini. Dall’esterno. Il primo istinto è di scappare più lontano che puoi, andare dall’altra parte della banchina. Ma è inutile. Per un misterioso e maligno gioco di scatole cinesi, ti troverai costretto in un tramezzo, tra la carrozza sette e la carrozza otto, stipata come l’intestino di un occluso, a distanze illegali da quest’ultimo e soprattutto dalla sua ascella allucinogena. Dopo aver scambiato il controllore dei biglietti per una visitazione mariana, a causa dei miasmi corporali, perdi i sensi inevitabilmente. Ti svegli alla stazione termini, mentre l’addetto delle pulizie colombiano ti sta derubando.

5.       IL JUKEBOX. La mattina presto non assomiglia per niente ad una delle Quattro Stagioni di Vivaldi. La mattina presto assomiglia più a Guantanamo. Ora, che musica possono mai passare a Guantanamo? Certamente musica di merda, che è  quella che ascolta il passeggero di fianco a voi. Armato di due amplificatori da 1000 watt a padiglione, sguinzaglia tutta la libreria del suo ipod addosso a te, che provi a dormire su sedili comodi come trappole per topi. In base alla giornata, al tipo, e alla tua personale buona stella, si può andare dal death metal, al tecno trash, passando per il neomelodico remix. Il volume delle cuffie è così alto che ti vibrano persino i pensieri. La musica ti azzanna nel dormiveglia come un cane in calore, ma di quelli grossi. In momenti come questo ci vorrebbe un amico. Magari Mike Tyson. Magari con molto appetito.

LUNEDI PROSSIMO LE ULTIME CINQUE CATEGORIE. BUON VIAGGIO!