sabato 24 agosto 2013

VOLLEY MA NON POSSO




Buongiorno. È venuto per me il momento di affrontare, ormai alla fine di questa estate 2013 un tema scottante. Un vero e proprio cancro, una malattia che imperversa ogni anno sulle spiagge italiane e contro cui nessuno ha il coraggio di schierarsi. Ma io non ho paura, non faccio parte di lobby potenti, non ho sponsor compiacenti, sono un cane libero, una voce fuori dal coro. Quindi non ho timore nel dire che il BEACH VOLLEY ha rotto la minchia. Intendiamoci, non lo sport di per sé, che anzi, mi piace abbastanza, ma il beach (come lo chiamano i veri sportivi da spiaggia) applicato all’estate in Riviera. Il beach appartiene a tutta quella serie di sport che sono sport per finta, che vengono praticati da chi fa sport per tre mesi all’anno. Sono i rifugio per gli slanati, che tra una banana split e il fritto imperiale, un po’ per noia, un po’ per colpa, si illudono di “dai così facciamo un po’ di moto che ci rassodiamo”(per rassodarli bisognerebbe metterli a bollire un paio d’ore, ndr). Insomma è un po’ come il calcio saponato o i racchettoni, un surrogato dello sport della vita vera che trasposti sulla spiaggia diventano passatempi per quelli a rischio panza.

Il campo da beach è chiaramente sempre pieno e, dato che generalmente si trova in spiaggia libera, la lotta per giocare trasforma il lido nel Far West. Si formano, già alle dieci di mattina delle code da Mirabilandia il ponte di Ferragosto. Allucinante. Poi chiaramente non c’è ombra, salvo quella stretta e lunghissima dei paletti, e vedi la gente in coda a bordocampo saltare da un piede all’altro, che sembra di stare ai Campionanti italiani di taranta agonistica. I più infami applicano la tecnica del “ ascolta guarda noi dobbiamo andare via un secondo, resta tu qui che sennò ci rubano il posto, tanto arriviamo subito” e il più stronzo della brigata ci crede pure e viene abbandonato sotto un sole manesco come un cane in autostrada.

Il campo oltre essere sempre pieno è sempre al sole. Anche la sera. Ed è l’unico punto geografico del globo in cui entrambe le metà campo sono controsole. Questo significa che la sabbia, già di prima mattina, raggiunge il punto di fusione del Californio. In poco tempo l’odore che si diffonde è quello del pollo cotto sulla piastra  e le piante dei piedi iniziano a perdere la pelle come i peperoni. Il sudore inizia a colare a taniche, rendendoti viscido come il bambino della pubblicità del Vape. Il momento magico è chiaramente quando, preso dal furore agonistico, ti lanci per prendere una palla, che non prenderai, stendendoti a pelle di leopardo sul campo. Ora. A me da fastidio la sabbia che si attacca ai piedi quando sali dal mare, figuratevi la doppia panatura total body con cui benedico ogni match l’effetto distensivo che può avere.

Veniamo ai soggetti che normalmente popolano l’arena.

Innanzi tutto c’è il CAMPIONE MOTIVATO, ossia quello che sulla spiaggia ha voglia di tribolare. Ha bisogno di fare 12000 attività, perché il riposo sotto l’ombrellone è tempo sprecato. È quello che ha le fregole. Costringe tutti gli amici ad andare a giocare, e se non ci vanno cerca dei compagni a cui aggregarsi in loco, e se non ci sono cazzo piuttosto gioca da solo. Generalmente gioca dalle due alle sei ore filate, scatenando l’ira di chi è in coda. Si ferma o per un colpo di sole o per una botta di disidratazione. Gli amici ne raccoglieranno i poveri resti e li tumuleranno in una sacca da palestra. A seguire il CAMPIONE MARPIONE, quello che gioca come dovere estetico. Gioca perché è bello e, dato che è pure generoso, non vuole privare la spiaggia della sua magnifica presenza. Gioca con l’occhiale da sole fisso, tirandosi su il costume, solo per mostrare la gamba che gli è valsa il Quadricipite d’argento per tre anni di fila. Fa lo splendido, facendo le battute alle ragazze più carine, umiliando gli altri compagni di squadra con frecciate da vero maschio alpha. Generalmente il gadano vero, in queste occasioni, ha un culo disarmante, che gli permette di mettere palle improbabili, spacciandosi come astro nel firmamento del volley. Nella realtà la sua carriera sportiva è costituita da trazioni, addominali e il cruciverba che c’è in fondo a Donna Moderna, ma nessuno lo saprà mai. Il CAMPIONE MANCATO è quello che entra in campo e si sente in Nazionale. Prende la faccenda dannatamente sul serio, al punto da costringere la sua squadra a fare un paio di giorni di ritiro prima della partitella. Si porta da casa i lucidi per la pretattica. È carico come una bestemmia durante la  giornata nazionale del mignolo contro lo spigolo. Ad onore del vero, di solito, è una seghina loffia o, al più, un giocatore normale. Lo riconosci perché è quello che fa più versi di tutti: per lo sforzo, di esultanza, per spronare la squadra. Dispensatore seriale di consigli e commenti tecnici, non sta zitto un secondo. Giocatore, CT e DS nella stessa persona, uno e trino. È la causa principale della violenza negli stadi. Il CAMPIONE DI MOQUETTE. Quello che non ci voleva venire. È stato costretto a giocare perché “dai che così siamo pari”. Non si trova esattamente a proprio agio, anzi. Lo si riconosce perché è quello che dovunque lo metti sembra giocare con le stampelle, tranne in battuta dove, votandosi a tutti i santi beati e martiri, mette qualche punto per salvare la dignità. È quello che la rivincita non la vorrebbe mai se non a tavolino.  È quello che, nel far le squadre, gli altri giocatori si spartiscono “preferite palla, campo o lui?”. Per finire c’è il CAMPIONE ATTEMPATO, quello che la crisi di mezz’età ha travolto come il crollo di un balcone. Si sente ormai invecchiare, i figli lo zavorrano e ogni giorno fa sempre più fatica ad alzarsi dal letto. Per non morire si rifugia in queste attività che lo fanno tornare, almeno per un paio d’ore, giovane. Lo vedi che si lascia andare a sforzi sportivi al limite dell’angina pectoris, dissimula una prestanza fisica che non ha (pagherà tutta questa attività la notte stessa, con un mal di schiena cattivo come l’Inquisizione e sarà costretto a dormire a testa in giù come Batman) fa il pavone con ogni esemplare femminile anche solo passabile, rischiando la querela e un divorzio multimilionario, e affida i figli al venditore di cd masterizzati pur di non averli tra i maroni.

È da segnalare che , talvolta, in mezzo  a questa combriccola di fenomeni da circo è rilevata la presenza di uno sportivo vero. Ma, come nelle acque minerali, solo in tracce.

 

 

mercoledì 14 agosto 2013

IL FERRAGOSTO DEI CAMPIONI




Ed è arrivato anche Ferragosto. Sarò un sociopatico, ma per me Ferragosto, come festa, sta tra il cagare e il molto cagare. È proprio una non-sense party. Mi gioco la mia retta universitaria (e boia Montessori vi assicuro che è un bel jackpot) se mi sapete trovare anche solo una persona che sappia il motivo di una festa del genere. “Eh ma zio, se sei serio!! Cioè ho stai polleg. Ma si non ha senso ma è ‘na festa così, per divertirsi, per bere. Poi cazzo te ne”. Ma dai pur. Si vede che le feste causano arsura. Ma tanta però. Che poi Ferragosto, ancora più che Capodanno, è la tipica festa della felicità spinta. Del divertimento non facoltativo. Allo scadere della mezzanotte, se non hai stracciato almeno tre volte, non hai rischiato il coma etilico facendoti sette chupiti di antigelo e non hai provato a limonare con un parchimetro, allora per il mondo occidentale la tua vita ha lo stesso spessore della gomma masticata sotto le scarpe. Voglio dire, son così sovversivo se dico che Ferragosto mi sta un po’ sui maroni? Per carità, è un momento per stare tutti insieme, siamo d’accordo. Oddio, proprio d’accordo non saprei. Non è che, a memoria, associ il Ferragosto ad uno dei momenti di più alta comunione sociale. Anzi, se ci penso, il Ferragosto, lo dovessi associare ad un gusto, sa di gin lemon acido, salsiccia e sabbia. Non per forza in quest’ordine.

Salsiccia perché, cascasse il mondo, a Ferragosto si griglia. Cazzo se si griglia. Anche con cinquanta gradi all’ombra. Che poi la carne ai ferri è un classico della dieta mediterranea. Ottima anche per sentirsi freschi. A Ferragosto la gente griglia la qualunque: braciole, coste, costine, coppone, salsiccia, pancetta, petto, filetto, controfiletto, lombata. E questi sono solo gli ingredienti dell’insalatone. La gente griglia proprio con cattiveria, con risentimento. Nei centri commerciali, alla vigilia e all’antivigilia di Ferragosto, sembra di stare a Bedrock. Si lotta per una costina, ci si picchia in testa per l’ultimo petto di pollo con il cestino salvatempo e  il banco carni è assaltato come quel treno per Yuma. Che poi la disgrazia vera, sono le grigliate sociale, quelle organizzate da una decina di pendagli da forca, che invitano un centinaio buono di persone e che sulla “quota-carne” ci fanno una cresta così selvaggia, che a confronto Tanzi era uno che barava al monopoli. Quindi tu, inconsapevole, ci sganci un ventello così, senza neanche passare dal via, per una michetta fiappa, una salsiccia nera e secca, lunga come il pollice di un fabbro distratto, un pezzo di carne con un’evidente crisi d’identità e una birra così calda che, se non fosse che è gasata, crederesti che fosse piscio.

Sabbia perché a Ferragosto, sicuro come l’oro della Regina, il falò in spiaggia è un must, una tassa. Alzi la mano chi a Ferragosto, almeno una volta non ci è mai andato………..FALSI BUGIARDI IGNAVI CHE NON SIETE ALTRO!!!!! Il falò è una roba che si sconta per forza. E ovvio il falò è solo in spiaggia. La spiaggia dei falò è uno di quei luoghi magici che sta tra il leggendario e il “mah boh”.  Il falò è come Las Vegas, e ciò che succede a Las Vegas resta a Las Vegas. Solo che a Las Vegas qualcosa succede davvero, ai falò quasi un cazzo.  Si perché è vero, ai falò vale un po’ il tana libera a tutti, la densità etilica è quella di una distilleria ungherese e il maschio sente all’improvviso il richiamo della foresta. Solo che a ben vedere, una volta che ci sei ti rendi conto che la gente è talmente fuori che non sa distinguere tra il proprio buco del culo e il proprio ombelico, una buona percentuale è già collassata e sta esalando gli ultimi respiri, un’altra percentuale, di inossidabili che non si ubriacano mai, neanche a botte di diserbante, sono impegnati a soccorrere/infierire sui sopracitati ubriachi, e i predatori del falò ci provano selvaggiamente con chiunque (poi la semioscurità aiuta), facendo piangere di rabbia la propria dignità, fino a trovare una disperata che, più di là che di qua, li soddisfi, o al più, un lettino bucato compiacente.

Gin Lemon perché, come avrai intuito, perspicace lettore, a Ferragosto si beve. Cazzo se si beve. I più competitivi già di prima mattina. A mezzogiorno posso fare miscela al motorino pisciando nel serbatoio. Si beve perché si deve bere. Senza se e senza ma. E si beve ovunque. In spiaggia, in discoteca, per strada, a casa. Il free drink diventa una sorta di divinità pagana, invocata ad ogni angolo della strada. E la gente beve beve beve beve, come se la cirrosi epatica fosse solo un punto di vista. E il degrado in breve arriva alle stelle. Gente che straccia anche l’amor proprio, che piscia dappertutto, che tenta il suicidio, che fa a botte con il bidone dell’umido, che si lascia andare ad atti di vandalismo spicci sulle macchine di un parcheggio, compresa la propria. Non per essere esagerati, ma roba che Gomorra sembra un centro ricreativo estivo. Infatti, non so se avete notato, ma il giorno dopo Ferragosto, fenomeno astronomico tutto da studiare, è l’unico giorno dell’anno ad avere la mattina che inizia alle 3 e quaranta del pomeriggio. Ed immancabile c’è poi quello, che, appena sveglio, ti ammorba raccontandoti tutte le prodezze della serata passata. Tu lo guardi, visibilmente rallentato, lui che invece è extrasupermegaeccitatoestimolato, rendendoti conto che prima vedi muoversi la bocca e solo in ritardo arrivano le parole, come in quei film doppiati male. Ed è allora che ti rendi conto di odiarlo. E di farti schifo. Ma più di odiarlo.

Per concludere, vi lascio con una riflessione. Non so per quale congiunzione astrale, ma avete notato anche voi che il giorno di Ferragosto fa sempre abbastanza brutto. A lungo mi sono domandato il perché. Ognuno è giusto che trovi la propria risposta. Io ho trovato la mia. Anche Dio non tollera il Ferragosto.

martedì 6 agosto 2013

MASTER CEF

 



Partiamo dal presupposto che il cinque di Agosto uno non ha un accidente secco da fare. Se poi uno non è neppure al mare, allora è proprio stronzo. Io rientro felicemente nelle due categorie. E mentre tutti i miei amici son al mare ad abbronzarsi con il flash delle foto che si fanno (che vi venga lo scorbuto) io mi devo trovare qualcosa da fare. Beh, potrei finalmente leggere i tanti libri accumulati nell’inverno, iniziare a dare un occhio all’università e ai libri per l’esame di Settembre, tanto per non arrivarci come sempre con le palle al culo, potrei sfondarmi di attività ginnica, dato che ho la fisicata di un Fruttolo, magari potrei darmi allo studio del liuto, ad imparare una lingua antica, al merengue, gettarmi a capofitto nell’elettrizzante mondo del giardinaggio e dell’erboristeria, magari frequentare un corso di giocoleria, così, in queste giornate di noia, i maroni me li faccio girare da solo. E invece no. Essendo il Gran Visir del tempo sprecato, mi sono trovato il passatempo più povero della storia: scofanarmi tutte le puntate di MasterC hef Italia su Youtube  (aleeeeeeeeee!!hop hop uno-due! Tic tac, guarda come mando a pesche tutta un’estate).

Una roba che sa proprio di miseria, me ne rendo conto. Ma ohi uno fa quel che può. Poi devo ammetterlo. Io manco l’avevo mai visto e dato che tutti mi hanno detto che è stato l’evento televisivo dell’anno (credevo che ad esserlo fosse il premiato ritorno di Pippo Baudo in televisione, a dispetto dell’opinione dei medici Rai che l’hanno dichiarato cerebralmente morto) mi sono sentito quasi in dovere.

Dopo un’attenta supervisione posso dire con tranquillità che il programma mi indispone, ma nello stesso tempo mi attira. Diciamo che sortisce lo stesso effetto del fazzoletto col moccio: non mi piace, ma è più forte di me, ogni volta devo aprirlo, come se dentro ci potessi trovare la pietra filosofale, degli smarties, due linguine allo scoglio, od un orsetto lavatore.

Intanto prima cosa, non sopporto i concorrenti. Lo guardo e spero che non vinca nessuno. Prima di tutto perché porca la vacca in crosta di sale, ci son sempre gli stessi: e la casalinga frigida che in cucina beve come un lavandino e cerca il riscatto dalla propria condizione sociale (“perché io cucino come cucino per i miei figli, col cuore di mamma, ma i giudici devono vedere altro in me”, si, i baffi da film western, cretina) e il “giovane” di trent’anni che ancora studia ingegneria (30 ANNI???????biondo, trent’anni?????!?!?!? Ma sei sicuro, tutto bene?? Ci stai mettendo così tanto perché in facoltà non trovi parcheggio??) e la bellina un po’ diafana che fa solo “bromuoise” e riduzioni di uva fragola, che si salva sempre per tenere vivo il pubblico maschile e il vecchio o la vecchia incaturita che è lì perché “a quest’età ho bisogno di un brivido” (guarda per questo basta che ti siedi su un Calippo). La fiera della maschera popolare. Manca solo il siciliano con la lupara, il gondoliere orbo d’un orecia e sordo de n’ocio e Brighella. Ma il migliore è il caso umano di turno: il concorrente orfano, gobbo, mutilato, depresso, sfigato, malato terminale. Quello che lo fa “in ricordo di mia nonna, che è morta grattugiata mentre preparava le lasagne” o per lo zio che “dopo l’incendio alla friggitoria di famiglia se n’è andato, dorato e croccante. Lo faccio anche per lui”. Giuro un concorrente così mi manda giù di testa. Che qualunque cosa succede piange. Calci in bocca finchè non fa notte, davvero.

Poi, riporca di una rivacca in umido, questi sono chef amatoriali, no? Uno si aspetta che ti preparino robe, non dico banali, ma perlomeno accessibili. Macchè mai. Ti cacciano fuori della roba: filetto di cervo marinato col ginepro e foglie di quercia con patate affumicate e una salsa di rabarbaro mentuccia e vino rosso, cappelletti di anatra e fichi secchi con ragù vegetale pelle di anitra croccante e mostarda di fichi o ancora tonno scottato con una cremolate e condito con una maionese al pompelmo. Ma stiamo scherzando? No vabbè. Posso credere che gente che dice di cucinare nel tempo libero possa concepire roba del genere? I casi sono due: o hanno un sacco di tempo libero e allora ok, mi ci metto anche io, sfoglio l’Artusi fino a morire avvelenato dagli inchiostri della stampa, oppure mettono la roba un po’ così, come si dice, ad orecchio nella speranza che il piatto non abbia il sapore del sacco dell’umido.

Ma i veri insopportabili sono i giudici. Signore dammi la pazienza che se mi dai la forza faccio una strage. Mi sfugge proprio il motivo di umiliare il concorrente. Probabilmente gli autori gli mettono la maionese nel balsamo e la pasta di acciughe nel dentifricio per instronzirli così. Nel senso, il piatto fa cagare? Ohi va bene, lo dici, spieghi l’errore e mandi a posto. C’è bisogno di insultare tutta la famiglia della parte materna? Roba che io non so come fanno i concorrenti a tener giù le mani. Ce a me va bene tutto, ma sei fai quei numeri da chiodi lì, con gli spaghetti ti faccio una cravatta. Quando sputano il cibo, poi, non ci vedo più. Mia mamma, se tuttora faccio una cosa del genere, mi allunga un paio di manrovesci ben piazzati, che dopo devo andare all’anagrafe a cambiare l’altezza sulla carta d’identità. Dicono piaccia proprio per quello. Bah. Fossi in uno dei concorrenti, alla lunga, non riuscirei a trattenermi dal presentargli in piatto di risotto marinato tre quattro ore nel mio stomaco. Così ,quando l’annuseranno/ assaggeranno con il musetto tutto corrucciato come di chi si sta levando la cacca di cane da sotto la scarpa con un bastone, nel commento “sa di merda, fa schifo” non potranno non essere organoletticamente corretti. Mi chiedo perché non li armino proprio a sto punto. A Cracco (con quei suoi occhietti piccoli e vicini da pitbull e che parla come un venditore di alcolici polacco, senza alcuna coerenza tra contenuto e tono di voce) una scacciacani elettrica, a Bastianich (che, tra parentesi, gli insulti detti da lui sembrano pronunciati da un navigatore satellitare dopo un incidente) un bel coltellino a serramanico per incidere la fronte e a Barbieri (che c’ha pure un gran palato, ma per le robe che si mette c’avrà un occhio di vetro e l’altro pigro) una bella secchia di acido per lo sfregiamento.

Che poi, la roba che mi fa più incazzare (e lo dico da profondo amante della cucina) è che da un po’ di tempo a questa parte in televisione, e i tre numi tutelari non si smentiscono, si parla della cucina come fosse un’operazione di trapianto di cuore. La roba più importante della Terra. Ora a me va bene tutto. Capisco che sia un lavoro difficile, stressante e faticoso (anche se io al basso, al bullo e al cattivo farei fare un tre settimane di ferie a raccogliere cocomere, con sto clima accomodante), ma faccio proprio fatica a credere che la besciamella sia una delle virtù teologali. Cioè, se viene fa piacere, saperla fare da soddisfazione, ma raga, ridimensionatevi un pochino. State discutendo, in definitiva, di come imbiondire l’aglio in camicia, non del bosone di Higgs o della crisi in Medio Oriente. Ridefiniamo un attimo le priorità della vita umana perché più che passione diventa feticismo. Per quello la faccia truce o lo sguardo di ghiaccio che fanno quando assaggiano la roba mi sembra esagerato. E l’indignazione manesca per un piatto mi sembra immotivata e ridicola, almeno in queste manifestazioni. Non c’è bisogno, davvero. È pur sempre un piatto di pasta. Diciamo che ci son cose più complesse e un tantino più degne nella vita, no? O sono io ad essere limitato? Comunque, nel dubbio:

ingredienti per la besciamella: latte, burro, farina, sale, noce moscata;

preparazione: mettete in un pentolino il burro, fatelo sciogliere e aggiungete la farina setacciata facendo cuocere il tutto per qualche minuto, mescolando continuamente ed evitando di farle prendere colore o farla attaccare; togliete il pentolino dal fuoco e aggiungete il latte caldo mescolando il tutto con un cucchiaio di legno. Rimettete quindi il pentolino sul fuoco, fate cuocere a fiamma bassa finché la salsa comincerà a bollire e aggiungete un pizzico di sale e un pizzico di noce moscata. Coprite il pentolino con un coperchio e fate cuocere la besciamella, sempre a fuoco basso, per 15 minuti, mescolando di tanto in tanto. Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen.