Io
non tollero speciale elezioni. Sipario. Il giorno dopo le elezioni, in Italia,
si respira quell’atmosfera che c’è in casa quando la sera prima c’è stata una
seratona della miseria. La tovaglia sporca, la spazzatura è da buttare, piatti
pentole e bicchieri nel lavello da lavare, si contano le bottiglie vuote e tra
pancia piena e testa pesante ci si sente di avere il peso specifico del
mercurio. Tutto quello che è successo sembra arrivare da un ricordo distante,
che si fatica a mettere assieme.
Come
sempre, in Italia, dopo un’elezione, tutti trasecolano. Nessuno si aspettava nulla.
Serpeggia lo stesso sgomento di quando si guarda l’agguato dell’orca assassina
alla foca monaca. Si vive una sorta di dissociazione elettorale: nessuno si
capacità dei risultati. E tutti parlano come se a votare ci fossero andati
altri, un popolo italiano clonato, che vota in un paese parallelo. Allora ci si
incazza e inizia la caccia alla volpe ( o al volpone): “CHI L’HA VOTATO???
VOGLIO SAPERLO!!!! CHI HA AVUTO IL CORAGGIO DI VOTARE QUELLO LI’???? CHI E’
STATO A VOTARE QUELLO LA’!!!”. E nessuno risponde, come quando giochi allo
schiaffo del soldato.
Agli
iracondi si aggiungono gli affranti, quelli che dopo questa elezione “ti giuro
ho perso proprio speranza nella democrazia. Perché la gente non capisce? Siamo
proprio un paese di buffoni” e progettano fughe rocambolesche all’estero. Roba che
se io fossi in Alitalia pregherei per una tornata di elezioni ogni sei mesi e
poi altrochè buco nel bilancio, mi faccio fare le cinture di sicurezza da Louis
Vuitton.
Chi
non si lascia morire disperatamente di stenti tenta un’analisi politica e in un
attimo diventiamo un paese di politologi. Alcuni liquidano i risultati con la
rassicurante giustificazione della sciatteria del popolo, che è come dire,
implicitamente “il problema è della gente e non mio, che non faccio parte della
gente, sono loro che non capiscono, solo IO capisco, solo IO ho chiaro, solo il
MIO voto è utile, solo IO so che cosa serve, solo IO..”.
Altri,
invece, spiegano piani machiavellici, disvelano gabole tremende, ipotizzando
addirittura patti luciferini e svendite di anima per la vita (politica) eterna.
Il
momento è d’oro poi per tutti i vanitosi da social, cioè quelli la cui
pressione sanguigna nel corpo cavernoso è direttamente proporzionale
all’assenso riscosso su Facebook o su Twitter. E così vedi spuntare in poche
ore una serie di banalità straordinarie ( del tipo “italiani tutti caproni” o
il soave “ si stava meglio quando si stava peggio”) che ricevono cascate
di like. Non mi stupirei se ieri sera,
andando a letto, qualcuno di questi si fosse sentito uno statista mancato od
una mente sofisticatissima rubata alla politica e alla salvezza dell’Italia
tutta.
Ora,
io non voglio impelagarmi in disquisizioni edotte. Tutto è stato già detto,
ridetto e stradetto. Vorrei solo condividere un fatto per me evidente e
avanzare una teoria.
Il
fatto è che l’Italia è il paese dell’eterno ritorno, cioè il paese dove tutto
accade e poi accade di nuovo. In Italia si vive un perenne deja vu: i leader di
oggi ricordano quelli di ieri, i pensieri di oggi son simili a quelli che si
pensavano ieri e persino ciò che si indossa oggi rassomiglia tanto al vestire
di ieri (lunga vita al vintage, il “Lazzaro, alzati e cammina” nella moda). Lo
si vede dal senso di nostalgia che attanaglia tutti. Si rimpiangono i
personaggi del passato, arrivando addirittura a sospirare davanti alla statua
di Garibaldi o al ritratto di Cavour. È inevitabile, che se si rimane
inchiodati al passato e non si supera mai ciò che si era nel passato, si sarà
condannati a rivivere e rivedere le stesse cose. All’infinito.
La
mia teoria invece sulle elezioni è questa, detta anche “complesso di Sanremo”.
La vicinanza temporale dei due avvenimenti me l’hanno fatto capire. A Sanremo
vince sempre la canzone più brutta, quella che non meritava. Ma non importa
neanche chi vince, dato che la canzone che poi diventerà cult e lascerà il
segno arriva tipo terza. Tutti televotano e tutti sono delusi alla fine ( chi
non lo è non lo dice) e si sentono derubati. Ma nessuno si sogna che a vincere
possa essere la canzone bella, non è pensabile. Son cose che ti farebbero
perdere certe prospettive importanti della vita. È giusto che vinca la canzone
sbagliata, anzi è meglio che vinca la canzone sbagliata. Altrimenti non sarebbe
Sanremo. Perché altrimenti non ci potremmo sentire migliori di tutti quelli che
hanno votato, non ci potremmo sentire più capaci e più competenti ( sia dei
votati che dei votanti) e non potremmo vivere un anno intero nel dolce
vittimismo di sapere di essere degli agnelli in mezzo ai lupi, che subiscono un
Festival e un paese che non li merita. Ci serve che Sanremo ci restituisca un
podio indecente e mediocre, per avere qualcun altro da incolpare se qualcosa va
male, da insultare, da usare come scudo umano alla mitragliata di responsabilità,
che, altrimenti, ci inchioderebbe al muro.
I.N.T SPECIALE ELEZIONI: SIPARIO