martedì 26 febbraio 2013

I.N.T SPECIALE ELEZIONI: SIPARIO


Io non tollero speciale elezioni. Sipario. Il giorno dopo le elezioni, in Italia, si respira quell’atmosfera che c’è in casa quando la sera prima c’è stata una seratona della miseria. La tovaglia sporca, la spazzatura è da buttare, piatti pentole e bicchieri nel lavello da lavare, si contano le bottiglie vuote e tra pancia piena e testa pesante ci si sente di avere il peso specifico del mercurio. Tutto quello che è successo sembra arrivare da un ricordo distante, che si fatica a mettere assieme.
Come sempre, in Italia, dopo un’elezione, tutti trasecolano. Nessuno si aspettava nulla. Serpeggia lo stesso sgomento di quando si guarda l’agguato dell’orca assassina alla foca monaca. Si vive una sorta di dissociazione elettorale: nessuno si capacità dei risultati. E tutti parlano come se a votare ci fossero andati altri, un popolo italiano clonato, che vota in un paese parallelo. Allora ci si incazza e inizia la caccia alla volpe ( o al volpone): “CHI L’HA VOTATO??? VOGLIO SAPERLO!!!! CHI HA AVUTO IL CORAGGIO DI VOTARE QUELLO LI’???? CHI E’ STATO A VOTARE QUELLO LA’!!!”. E nessuno risponde, come quando giochi allo schiaffo del soldato.
Agli iracondi si aggiungono gli affranti, quelli che dopo questa elezione “ti giuro ho perso proprio speranza nella democrazia. Perché la gente non capisce? Siamo proprio un paese di buffoni” e progettano fughe rocambolesche all’estero. Roba che se io fossi in Alitalia pregherei per una tornata di elezioni ogni sei mesi e poi altrochè buco nel bilancio, mi faccio fare le cinture di sicurezza da Louis Vuitton.
Chi non si lascia morire disperatamente di stenti tenta un’analisi politica e in un attimo diventiamo un paese di politologi. Alcuni liquidano i risultati con la rassicurante giustificazione della sciatteria del popolo, che è come dire, implicitamente “il problema è della gente e non mio, che non faccio parte della gente, sono loro che non capiscono, solo IO capisco, solo IO ho chiaro, solo il MIO voto è utile, solo IO so che cosa serve, solo IO..”.
Altri, invece, spiegano piani machiavellici, disvelano gabole tremende, ipotizzando addirittura patti luciferini e svendite di anima per la vita (politica) eterna.
Il momento è d’oro poi per tutti i vanitosi da social, cioè quelli la cui pressione sanguigna nel corpo cavernoso è direttamente proporzionale all’assenso riscosso su Facebook o su Twitter. E così vedi spuntare in poche ore una serie di banalità straordinarie ( del tipo “italiani tutti caproni” o il soave “ si stava meglio quando si stava peggio”) che ricevono cascate di  like. Non mi stupirei se ieri sera, andando a letto, qualcuno di questi si fosse sentito uno statista mancato od una mente sofisticatissima rubata alla politica e alla salvezza dell’Italia tutta.
Ora, io non voglio impelagarmi in disquisizioni edotte. Tutto è stato già detto, ridetto e stradetto. Vorrei solo condividere un fatto per me evidente e avanzare una teoria.
Il fatto è che l’Italia è il paese dell’eterno ritorno, cioè il paese dove tutto accade e poi accade di nuovo. In Italia si vive un perenne deja vu: i leader di oggi ricordano quelli di ieri, i pensieri di oggi son simili a quelli che si pensavano ieri e persino ciò che si indossa oggi rassomiglia tanto al vestire di ieri (lunga vita al vintage, il “Lazzaro, alzati e cammina” nella moda). Lo si vede dal senso di nostalgia che attanaglia tutti. Si rimpiangono i personaggi del passato, arrivando addirittura a sospirare davanti alla statua di Garibaldi o al ritratto di Cavour. È inevitabile, che se si rimane inchiodati al passato e non si supera mai ciò che si era nel passato, si sarà condannati a rivivere e rivedere le stesse cose. All’infinito.
La mia teoria invece sulle elezioni è questa, detta anche “complesso di Sanremo”. La vicinanza temporale dei due avvenimenti me l’hanno fatto capire. A Sanremo vince sempre la canzone più brutta, quella che non meritava. Ma non importa neanche chi vince, dato che la canzone che poi diventerà cult e lascerà il segno arriva tipo terza. Tutti televotano e tutti sono delusi alla fine ( chi non lo è non lo dice) e si sentono derubati. Ma nessuno si sogna che a vincere possa essere la canzone bella, non è pensabile. Son cose che ti farebbero perdere certe prospettive importanti della vita. È giusto che vinca la canzone sbagliata, anzi è meglio che vinca la canzone sbagliata. Altrimenti non sarebbe Sanremo. Perché altrimenti non ci potremmo sentire migliori di tutti quelli che hanno votato, non ci potremmo sentire più capaci e più competenti ( sia dei votati che dei votanti) e non potremmo vivere un anno intero nel dolce vittimismo di sapere di essere degli agnelli in mezzo ai lupi, che subiscono un Festival e un paese che non li merita. Ci serve che Sanremo ci restituisca un podio indecente e mediocre, per avere qualcun altro da incolpare se qualcosa va male, da insultare, da usare come scudo umano alla mitragliata di responsabilità, che, altrimenti, ci inchioderebbe al muro.
I.N.T SPECIALE ELEZIONI: SIPARIO

lunedì 25 febbraio 2013

I.N.T LE ELEZIONI: L'AUTOCRITICA


Io non tollero le elezioni 2. L'autocritica. Oggi sono andato a votare. C’era il sole. Strano, non so perché ma mi sembra che tutte le volte che sono andato a votare ci fosse il sole. Che a fine giornata uno poi si renda conto che il Sole se ne è andato e son rimaste invece le sòle, questo è un altro discorso. Insomma, vado a votare no? E tutto era più pulito. Le gocce di unto del saccone dell’immondizia che sporcano il pianerottolo quando la vicina lo porta fuori sembrano meno incivili; l’infame guidatore che fa esplodere il clacson mentre attraverso sulle strisce sembra più gioviale, quasi beneaugurante; anche la cacca di cane che pesto poco prima di entrare al seggio, che quel gran figlio di una giostraia non ha raccolto, sembra puzzare meno, sembra quasi cordiale. Al seggio ci sono molte persone, più di quelle che credevo. Davanti a me tre allegri anziani, di 70, 77 e 82 anni ( praticamente come i numeri delle figurine). In tre hanno più anni della stessa Italia unita. In tre hanno otto denti e due chili e sette di prostata. E mentre sono in loro amabile compagnia mi domando: ma come è possibile il cambiamento? Nel senso, in un paese come l’Italia, che sembra un ossario a cielo aperto, come può cambiare la politica se i votanti sono gli stessi da 70, 77 e 82 anni?? Ecco il problema, vuoi vedere che son i vecchi il problema!! Porca miseria ce l’ho fatta, ho risolto il rebus. Il problema sono i vecchi che votano. Che tra l’altro non se ne perdono una. Saranno le mele cotte, ma son regolari come intestini. Votano sempre, immancabili. Grande, grande, ho pensato, ora torno a casa e denuncio la scoperta; se poi uno ci pensa la statistica è schiacciante: il mio voto, da giovane, da uomo pulsante che mastica la sua epoca, viene assorbito dal signor Elpidio, il settantasettenne, con il suo voto che odora di canfora, e al netto di questo restano ancora i voti dei due attempati soci del fanclub del Tenente Colombo di Bagnacavallo. Tre voti contro uno, praticamente bullismo elettorale.

Esco di corsa tutto eccitato per la scoperta e per poco non vengo messo sotto da una decapottabile blu metallizzato che fa ballare tutta l’aria sulle note dell’intramontabile STRIP POKER del profeta dell’amore Doctor 69. Al suo interno tre splendidi, in occhiali fluo di ordinanza, con la tuta da principe della strada e Gazzetta dello Sport distesa come un lenzuolo matrimoniale. Il guidatore rigorosamente al cellulare con “Papi” che non ha fatto il pieno alla macchina e non gli ha ancora fatto la ricarica. Scendono al ritmo meraviglioso delle loro tre bocche biascicanti, che, anche solo per il fatto che i denti all’interno sono tutti loro, potrebbero fare invidia al biascichio della Triade del polmone d’acciaio che ho appena lasciato al seggio. Uno dei tre, prima di entrare si volta e fa: “oh bel, se stasera vinciamo il derby lo voto anche Papa” (giuro mi possano cadere ora le orecchie in una padella di cime di rapa). Allora l’illuminazione. Non sono i vecchi che affossano il paese. Ma questa gente qua. Voglio dire, tu vai in cabina elettorale e sai che il tuo voto vale come il loro, né più né meno del tuo. Un solo pensiero ha attraversato la mia mente. AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH! Esattamente questo. Un urlo a bocca chiusa. No raga non scherziamo. Questi a malapena riescono a compilare gli spazi sulla prima pagina dei quaderni ( e alla voce materia hanno il dubbio se mettere algebra o carta riciclata) e la loro preferenza vale come la mia??? Sarebbe come dire che un parere in fatto di navigazione ha lo stesso peso, che a dartelo sia Cristoforo Colombo o il capitano Schettino (voglio dire, il primo ha scoperto l’America, il secondo che a riva si tocca). Ecco il punto. I voti pesati. Bisognerebbe fare una legge per cui a certa gente il valore del voto venga dimezzato. Ti compri gli occhiali da sole che al posto delle lenti scure hanno le listarelle di plastica? Il tuo voto vale la metà. Sei uno di quelli che in autostrada butta le cartacce fuori dal finestrino dell’auto in corsa? Bene, il tuo voto vale un quinto. Sputi per terra quando fumi perché fa così irresistibilmente figo? Il tuo voto vale un terzo.

Aaaah! Che gioia! Ho la chiave di volta per risolvere definitivamente i problemi di questo paese. Sono corso a casa, con la foga di chi ha trovato un tesoro inestimabile. Ma proprio sulla soglia di casa un pensiero mi trapassa il cervello. Oddio. Tre anziani, tre giovani. Tre voti vecchi, tre voti nuovi. Tre voti vecchi mangiano tre voti giovani. Il totale è zero. Il totale è zero. O meglio, uno. Resta ancora il mio. Oddio..vuoi vedere che il problema di questo paese…sono invece io?
I.N.T LE ELEZIONI: L'AUTOCRITICA

sabato 23 febbraio 2013

IO NON TOLLERO: SPECIALE ELEZIONI


Io non tollero le elezioni politiche. Nel resto del mondo vederle è un piacere, è come seguire un grande evento sportivo . Tipo le Olimpiadi. O una bella partita di calcio. Trovarsi invece in Italia durante le elezioni è come stare in mezzo al Carnevale di Ivrea. Questa assoluta sgradevolezza deriva innanzitutto dalla campagna elettorale. La campagna elettorale italiana assomiglia al TAGADA’, cioè quella giostra delle fiere di paese dall’aspetto di un’enorme piattaforma rotonda che gira vorticosamente su se stessa, frullando i passeggeri che traballano. Durante la campagna elettorale è un po’ così: tutti ballano come possono, c’è chi prova a baciare la propria ragazza e invece bacia il ragazzo di fianco, chi con la stessa scusa allunga le mani sulla tua ragazza, non si capisce più chi sta a destra e chi a sinistra, c’è sempre quello che si sente male e poi sporca tutti gli altri, il tutto accompagnato dall’evergreen “ MUOVI LA COLITA MAMITA RICA!”. E, intanto, chi guarda da terra si chiede perché al terzo giro quelli non scendono chè “ sarebbe anche il nostro turno, visto che è un’ora che siamo in coda”. Ma tanto ad un certo punto scatta la sirena e “ altro giro, altra corsa!!”. In Italia, poi, a votare non ci si va sereni. L’elettore ha la stessa calma interiore di un tabagista che entra in una fabbrica di fuochi d’artificio. Questo perché  nessuno quando va a votare ha la cognizione di stare andando a votare.
C’è quello che va a votare come se andasse in un cinema a luci rosse. Ci va vestito pesante, alzandosi il bavero della giacca, col cappello calato sugli occhi per non farsi riconoscere, convinto che da ogni proprio gesto trapeli la preferenza espressa.
“allora…a votare ci vado in bici…nonono che poi pensano  che con la bici son di sinistra.  Allora ci vado col SUV…no che poi sembro uno di CONFINDUSTRIA…magari ci vado in macchina con la bici nel baule. Ecco lo sapevo, non dovevo mettermi il loden che se poi tiro fuori l’agenda manco mi fanno entrare. Beh sai che faccio, mentre sono in fila magari mi graffetto un orecchio così poi sembro di Sel…Oddio, e ora che faccio, le apro la porta e la faccio passare o entro prima io, perché lo so, se la faccio passare poi dicono che lo faccio per guardarle il culo e poi subito la gente è maliziosa e pensa subito a lui…magari passo prima io e le dico che odio le maschiliste buone maniere  e che il pelo superfluo femminile è una forma di autodeterminazione”. Per depistare fino all’ultimo, entra nell’urna fischiettando “Bella ciao” e “ Giovinezza” in un mash-up alla Stefano Bollani.  E se dopo, per caso, viene fermato fuori da un conoscente che gli chiede se e chi ha votato, quello risponde che c’è andato solo per rubarsi la matita del seggio.
Altro elettore è il condiscendente. Quello che per una vita vota per la stessa parte politica. Si è preso tutte le sue sante bastonate sulle gengive che neanche uno xilofono. Un devoto umiliato. Roba che la gente per strada gli da gli scappellotti sulla testa e gli abbassa i pantaloni in piazza dopo la messa della domenica. E’ quello che quando vota sembra una madre “dai vabbè ti rivoto, ma questa è l’ultima volta perché se poi non fai quel che hai promesso anche sta volta poi mi coprono ancora la macchina di palline di sputo”. E’ superfluo aggiungere che col passare del tempo dovrà decidersi a vendere la macchina per poter continuare a votare.
Intollerabile è il Messia, l’elettore circonfuso di luce. Colui che sa quale è il voto utile: quello che darà lui. Averlo dietro in coda è come una punizione fisica in un campo di prigionia cambogiano. Entra nel seggio carico come una sveglia.
“ah che meraviglia. Son proprio bei giorni quelli in cui si va a votare. Cioè son proprio momenti di grande coesione sociale parteciativa.”
“si..si è vero ma..”
“fa piacere vedere tutta questa gente che si interessa. Non è vero che c’è disinteresse. Che poi se non lo esercitiamo noi...”
“beh si…è importante, anche se..”
“ che poi per dare una scossa la parte da votare è una…” e se la tua parte non corrisponde alla sua è finita. Ti guarda con lo sdegno e il disgusto dell’esorcista davanti all’indemoniato. Prova a redimerti con l’imposizione delle mani, compie riti sciamanici per convertirti e ti sfinisce con una lunga serie di motivazioni a grappolo che dimostrano incontrovertibilmente che il suo candidato è il re Mida che serviva e il tuo è affidabile come  Hannibal Lecter ad una grigliata. E al tuo turno, fino all’ultimo ti guarda come a dire “ora sai cosa è giusto, va e non peccare più”.
Altro elettore meraviglioso è quello che va a votare come se stesse andando a confessarsi. Che si cosparge il capo di cenere solo per segnare la propria preferenza. E’ quello che  per il resto dell’anno accende l’automobile anche solo per ascoltare la radio e che fa le battute di caccia grossa con i proiettili all’uranio impoverito, ma poi si scopre ambientalista; è quello che per il resto dell’anno si fa le frittate con le uova fabergè, ma poi si scopre proletario; è quello che ha otto figli con cinque donne in tre paesi diversi, ma poi sente il richiamo della famiglia come unità fondamentale della comunità. Praticamente entra che è Willy Wonka ed esce presidente dell’Associazione Nazionale Dentisti Italiani.
Altro votante insopportabile è l’eterno inesperto.  Quello che gli spieghi e non capisce. Sbaglia urna, esce tre volte per chiedere se deve votare al contrario come nei referendum, se basta la croce o deve annerire la casella, se per caso gli possono prestare una gomma che ha sbagliato, e che non capisce la differenza tra voto disgiunto e espressione di preferenza. Finisce che vota per Marco Mengoni, ma poi ha l’illuminazione “ah ma io non avevo capito..cioè lei mi aveva detto..quindi dovevo fare cosi..” e se ne va sbuffando e inneggiando al televoto.
Per fortuna poi le elezioni finiscono, tutti vanno a casa, a meditare. Finalmente, per una volta cittadini attivi. Poi vedi i risultati, esulti o ti incazzi, ma non riesci a gioire. Ti manca la soddisfazione vera. Come quando ti sforzi di esultare per un gol a Fifa anche se non stai giocando tu. Hai la sensazione di non partecipare appieno. Il tuo voto interessava fino un attimo prima di essere espresso. Poi basta. Chi è eletto ricomincia a girare in auto blu e tu smadonni per dover allungare il pieno col dado Knorr. Ti dimentichi che essere cittadino attivo non è solo votare, ma è essere attento, presente, informato. E’ rispettare la tua comunità e i luoghi che le appartengono. Fare volontariato. E’ osservare la legge, ma più banalmente è avere decoro e comune senso civico. Votare non è un buono cumulativo di cittadinanza: dato che ho votato posso posteggiare 10 volte in doppia fila, non chiedere 7 scontrini e taccheggiare due robine al supermercato. E invece sembra che votare abbia l’effetto della sveglia quando suona la mattina presto: ti desta un attimo, tu la guardi, la spegni e ti volti dall’altra parte. Ma il voto è un cuscino scomodo su cui dormire. Un voto dato in questo modo non conta, ma si sconta, prima o poi.
I.N.T. SPECIALE ELEZIONI
 

mercoledì 20 febbraio 2013

IO NON TOLLERO I BRACCONIERI




Io non tollero i bracconieri. Ho letto, qualche settimana fa, che in Kenya c’è stata una delle più grandi e sanguinose mattanze di elefanti della storia del paese. Ora. C’è bisogno di commentare una notizia del genere? Non credo. A questa gente che ammazza gli animali o in generale li maltratta e li sevizia cosa puoi dire? Nulla. A questa gente che ammazza gli animali o in generale li maltratta e li sevizia quali mali puoi augurare? Un’infinità:
1.      Spero che perdiate la sensibilità dello sfintere anale ad ogni stimolo intestinale, cosicchè non vi rendiate conto di quando fate la cacca. Così siete li che girate per strada, salite su un bus e spraaaaat, una scarica vulcanica vi riempie la mutanda senza che ve ne rendiate conto. Siete in un negozio di vestiti, davanti allo specchio, e proprio mentre al commesso: “scusi come mi sta questa camicia?” sbrooooot! Un boato pauroso come quando si apre un tombino da spurgare.
2.      Vi auguro che vi venga il prurito alle piante dei piedi non appena vi infilate gli scarponi da sci.
3.      Vi auguro di dimenticare una cassa da ventiquattro di Coca-Cola nel congelatore che avete appena pulito.
4.      Vi auguro di sbadigliare durante una tempesta di diarrea.
5.      Vi auguro di starnutire mentre fate la pipì.
6.      Vi auguro l’herpes, larga come una tovaglia da osteria, il giorno in cui dovete farvi le fototessere.
7.      Vi auguro di aprirei video di youtube e di poter vedere solo i primi 15 secondi di video e per il resto della durata solo la pubblicità elettorale di Maroni “la mia Lombardia”.
8.      Vi auguro di trovare, nei siti pornografici, solo le parti di dialogo.
9.      Vi auguro di non poter evitare di mangiare le unghie. Ma quelle degli altri.
10. Vi auguro una vita intera di spigoli, calzando solo infradito.
11. Vi auguro di ricevere telefonate solo quando siete sotto la doccia e di ricevere visite a casa solo quando siete in bagno a fare la grossa.
12.   Vi auguro di bere qualunque cosa fredda così velocemente da ghiacciarvi anche i pensieri.
13.   Vi auguro di avere sempre la sabbia nel costume.
14.   Vi auguro di rinascere cintura di Giuliano Ferrara.
15.   Vi auguro che vi si rompano sempre i biscotti che state intingendo.
E infine, vi auguro la solitudine, più nera e profonda. Umana, fisica e spirituale. Che sfiori quasi la totale inesistenza.
I.N.T. I BRACCONIERI

martedì 19 febbraio 2013

IO NON TOLLERO LA STRADA


Io non tollero la strada. Intesa come luogo dove circolano le automobili. È tra i luoghi più intollerabili del pianeta, dopo il supermercato di domenica e il salotto di Pomeriggio Cinque. È il posto dove perfetti sconosciuti si lasciano andare ad un odio sanguinario degno della peggior pulizia etnica kossovara. Gente che promette vendette trasversali su parenti e affini o che lancia maledizioni sull’anima. Secondo me, infatti, lo scontro  israelo-palestinese è cominciato in tangenziale. Per fortuna il Dalai Lama va a piedi, altrimenti sarei sicuro di vederlo nell’ora di punta sfondare i parabrezza di quelli davanti con una testata, all’urlo di “Per il potere di Grayskull, a me il potere!!”. Il mondo penso perderebbe le coordinate.
Tutto è intollerabile in strada perché chiunque si sieda al volante tacitamente aderisce all’assioma del “ migliore dei guidatori possibili”: ossia, io che guido in questa macchina so guidare, tu che guidi in quella macchina guidi come uno affetto dalla sindrome di Tourette. È così sempre. Quello davanti non fa mai la manovra giusta, o mai nel modo giusto.
“ah, va quell’idiota, perché non sorpassa?”
“beh c’è il limite dei cinquanta e poi mica ci stava!!”
“se va be, il limite dei cinquanta… chi è che lo rispetta… poi è una misura indicativa, c’è la percentuale di abbuono..e poi sei idiota, cosa ti compri quel macchinone se non lo sai usare!!”
“non è che non lo sa usare, è che c’è proprio un fosso”
“ma guarda che ci stava! E poi hai le gomme no? Anche ci fosse cascato galleggiava, sta a veder..” e Archimede ti inchioda le chiappe al fondo.
Seconda verità assoluta, che rende intollerabile la strada, recita: “la velocità di marcia del guidatore davanti è inversamente proporzionale alla tua fretta o al tuo ritardo”. Tu esci di casa maledicendoti perché dovevi essere all’appuntamento dieci minuti fa, ti metti al volante e sbam! La 600 della resistenza, color nausea, ti si pianta davanti, alla formidabile velocità di 46 chilometri orari. E tu cominci a gridare una serie ininterrotta di A. Quello che hai davanti diventa la tua nemesi. Indipendentemente dalla categoria sociale di appartenenza.
È un anziano? “dai nonnooooo! La strada è per i vivi!!! Ti sei perso mentre andavi al cimitero??!”
È una donna? “ehi bella!!le chiacchiere le vai a fare dall’estetista!!! Io lo so, si starà mettendo come minimo lo smalto alle dita dei piedi!!”
È uno straniero? “ehi Romania!! Ma non rubavi solo gli autoradio qualche mese fa??sei passato all’intero veicolo?”
Insomma, l’allegra fiera del luogo comune razzista. Roba che un vecchio nostalgico nazista emigrato in Texas a confronto è Madre Teresa.
E chiaramente il lento guidatore fa esattamente la tua stessa strada. Ad ogni incrocio guardi il segnalatore luminoso di frecce, nella speranza di una inversione. Invece niente, ti scorta fin dove devi arrivare. Tu allora snoccioli tutto il rosario della vecchia fattoria iaiao, e il santino di Padre Pio dei nonni si incenerisce per autocombustione.
Altro motivo per cui la strada è odiosa è il tempismo straordinario dei semafori. Anche questo principio recita: “quando serve, il semaforo non sarà mai verde”. Puoi partire quando vuoi, fare i calcoli col vento contrario o a favore, triangolare porzioni infinite di arcata celeste, ma nulla ti eviterà una serie di rossi che neanche fossi un toro alla corrida. Il peggio poi è quando da lontano lo vedi, è verde, sai che arrivarci ti permetterebbe di rompere il feroce domino di rossi che ti aspetta, mordi l’acceleratore, vorresti sgasare, ma a 20 metri dal semaforo, quando il giallo è ancora solo una probabilità, chi hai davanti, lo senti con un brivido, rallenta leggermente, in modo da far scattare il giallo e da farti inchiodare comodamente al rosso mentre lui, all’ultimo, passa. In quel momento diventi Bernardo Gui l’inquisitore. E mentre lo vedi che si allontana, senza accorgertene, hai annodato la leva del cambio (che a quel punto diventa la leva del cappio).
Come se non bastasse, ad aggiungere tensione ad una atmosfera da poligono di tiro, appare, prima o poi, il naturale nemico di ogni automobilista: il ciclista.
Il ciclista si considera un automobilista convertito, l’automobilista considera il ciclista sostanzialmente uno stronzo. Simile ai motorini, ma spocchiosamente salutista, baciaalberi, abbracciapesci, accarezzaprati. Con il suo odioso caschetto per evitare i traumi, lo scampanellio arrogante e la destrezza criminale di un visone nella stagione delle pelliccie. Sguscia, schiva, scansa, come un’anguilla in un barile. Il guidatore lo vede, il ciclista, superarlo sulla sinistra, facendosi beffe della fila chilometrica. Deve essere per quello che ogni guidatore, alla vista di un ciclista che attraversa la strada sulle strisce pedonali, senza scendere dalla bici chiaramente, è portato, per uno strano riflesso incondizionato, non a rallentare, ma ad accelerare lievemente perché “magari non lo investo, ma almeno la cacca sul sellino gliela faccio fare”. O magari quando passa da un lato all’altro della strada, mettendo fuori il braccio per segnalare la manovra, vorresti accostarti a lui e brandire dal finestrino un trinciapollo, o avere nel posto del passeggero Edward Mani di Forbice. Pregusti nella mente la soddisfazione che avresti nell’usare il suo stesso braccio per fargli il dito medio, ma ormai quello  ha già attraversato e sparisce in lontananza, salendo su un marciapiede. Chi dei due, ora, è lo stronzo?
Ultimo motivo per cui le strade sono il luogo perfetto in cui allevare un potenziale maniaco omicida col feticismo della pelle umana, sono le code. Lunghe. Lunghissime. Una coda, per definizione, non ha un inizio. La coda c’è. In coda siamo tutti ultimi, da qualunque prospettiva. Che poi le code sono un fenomeno misteriosissimo. Come si forma una coda? Voglio dire, uno si aspetta, in coda, che all’inizio della coda ci siano dei lavori in corso, magari dei camion, un’ intera mandria in transumanza, un maledetto incidente (in quello ci speri particolarmente, perché cazzo per tre ore di coda poi un po’ di sangue lo voglio vedere!!). E invece nulla. Ad un certo punto, la massa ricomincia a scorrere fluida, come nulla fosse successo. Voglio sapere ora, per cosa siamo stati fermi delle ore??! Macchè, impossibile, se ne va e viene come un occlusione intestinale. Che poi, per radio, non si dice più coda, che pare brutto, ma rallentamento. RALLENTAMENTO.
R       A       L       L       E       N       T       A       M       E       N       T       O   .   .   .   .
Una parola che non tollero. Brutta scema che non sei altro, sarai te rallentata, qui siamo inchiodati come un ladrone ad una croce. Per rallentare uno deve muoversi, ma un po’ più piano, non essere fermo. Il contachilometri ha cominciato ha segnare le stagioni.
Che poi, in un momento di lucidità pensavo, un modo per eliminare le code ci sarebbe. Basterebbe fare tutte le strade, in discesa.
I.N.T. LA STRADA