L’aperitivo è l’ultimo vero rito incrollabile rimasto nella nostra società disintegrata dal relativismo etico più sfrenato. Prosecco, aperol, spritz. Praticamente uno e trino. Amen. L’aperitivo è cosa trasversale, che unisce le masse e travalica le classi. Questo, i campionati di calcio e lo spazzolamento senza pietà degli assaggi gratuiti al banco macelleria (che porca vacca mi capita sempre il cubetto con troppo grasso che provo a togliere senza sfilare dallo stuzzicadente; tentativo che si conclude sempre inevitabilmente con la caduta a terra del cubetto di ciccia e che mi spinge ad abbinare tutte le divinità che conosco ai diversi tagli esposti dietro la vetrina). D’estate poi ciao. La stagione delle gole secche, altrochè. Le docce dei bagni vanno solo a sguazzone e il negroni si serve direttamente in pratici tubetti per l’igiene orale. Alla faccia di “date da bere agli assetati”, quella dei baristi è proprio una missione evangelica.
Data la vasta umanità che si raggruppa per l’occasione, la
tentazione di classificarla è troppo forte.
1.
GLI
INCONTENTABILI. Prendere un aperitivo con l’incontentabile è praticamente come
convincere Lapo Elkann a prendere la metro. Nessun posto va bene o comunque non
abbastanza bene. Lì si mangia troppo, lì si mangia troppo poco, è troppo
lontano, non conosco al strada, devo guidare, costa troppo, costa poco, tutti
se la tirano, nessuno me la tira, e c’è troppo verde e non c’è posto e non c’è
spazio e lì ci andiamo sempre. E porca Eva mi viene da dire. Non si riesce mai,
dico mai a prendere una decisione, se non sette minuti prima dell’appuntamento
e chiaramente la scelta cade sul locale così esclusivo che è più facile che un
cammello entri nelle mutande di sua altezza la regina d’Inghilterra. Morirai in
fila chiedendoti perché ci esci assieme. Ah già, per smettere di bere.
2.
GLI
SPLENDIDI. Lo splendido nasce in sala parto e vive in sala party. È il profeta
del Martini bianco, il guru del prosecco, lo sceicco dello spritz. Non si
decide con lui, lo si segue, ciecamente. Si perché lo splendido conosce ogni
bar possibile della zona, saluta con il nome di battesimo ogni barista, sa la successione cronologica dei
gestori e ha elaborato una propria funzione che mette in relazione la quantità
di cibo mangiabile, la quantità di alcool disponibile, la massima cifra
spendibile e la densità di pavana abbordabile per locale (praticamente un genio: “mi
avevano chiamato al CERN, ma sapete com’è, io preferisco la CERNIERA" dice lui). Uscire con
lui è come uscire col Papa. Saluta tutti, anzi benedice. Proprio si ferma e a ciascuno
bisbiglia brevi preghiere all’ orecchio. Farci un discorso senza interruzioni è
impossibile. Uniforme dello splendido: occhiale da sole a visore scuro, ma
meglio beige, che tiene su per tutta la durata dell’aperitivo, camicia bianca/
azzurra sbottonata fino all’ombelico con in risalto il bicipite patrimonio dell’umanità,
pantalone bianco lungo o corto e magari estroso (meglio bermuda, ma solo per
gli splendidi d’acqua salata), mocasso scamosciato o (top) infradito di cuoio, alternative, modello “mipiacel’etnicosoloseinsaldo”. Ah, cosa più importante, tu
vai ad aperitivo, lui “ a fare ape”, coglione!
3.
I
PREDONI. Il predone arriva con una fame così incazzata che prenderebbe a sberle la
cassiera. L’obiettivo della serata è la colica o l’indigestione. Non va ad
aperitivo per la compagnia, ma per la convenienza: 4 chili e otto di roba da
mangiare neanche alla Liddl durante un furto. Si lamenta che il piatto è troppo
piccolo, che le forchette sono troppo poche e che cambiano i piatti troppo
lentamente. La coda per il buffet, a cui si presenta con due sacchetti per la
spesa, è un concetto geometricamente sfuggente per lui. Salta, dribla, schiva, si arrampica
come il barone rampante pur di prendere ciò che gli piace, cioè tutto. Torna al
tavolo con tre piatti pieni e passerà tutta la sera a guardare il buffet perchè “ tra poco portano i fritti, me lo sento, ecco hanno portato la pasta te lo
dicevo ora la vado a prendere sennò la finiscono subito”. La speranza è che al
dodicesimo giro il barista lo fiocini e lo appenda come trofeo di pesca alla
parete.
4.
IL
BEONE. Il beone è quello che di base beve. Tanto. Sempre. Comunque. Nella sua
vita non ha neanche mai sputato il coluttorio, figurarsi. Arriva e inizia ad
ordinare una quantità insensata di roba da bere. Considera poco la roba da mangiare per non distrarsi dal suo scopo: sentire a fine serata sfrigolare il
fegato. Il problema è che il beone ha generalmente un target limitato che lo
costringe a sottostare alla regola della proporzione etilica inversa a tre
entrate: all’aumentare dei giri compiuti, diminuiscono assieme disponibilità
economica e qualità della cosa ordinata. Nelle giornate migliori arriva
a chiedere di poter succhiare i cubetti di ghiaccio dei cocktail finiti da
altri clienti in un gioco a ribasso con la propria dignità, che ha dell’ammirevole.
5.
LO
SCROCCHERO. Lo scrocchero è sostanzialmente una muffa. È l’ultimo anello della catena
alimentare. È quello che ad un funerale sarebbe in grado di chiedere uno
strappo a casa al carro funebre. Non paga una consumazione dalla caduta del
muro di Berlino. Tiene il portafoglio, vuoto, in tasca, solo per assicurare l’effetto
vita bassa, ma la maggior parte delle volte esce proprio senza, per evitare di
cadere in tentazione. Ben presto gli amici smettono di offrirgli qualunque cosa
ed è allora che lo scrocchero ha due alternative: o perire oppure diventare più
astuto. Travasa i cocktail mentre la gente è in bagno, se lo porta da casa,
prova a sostenere di avere fantomatici prestiti mai avvenuti “lo ricordo
perfettamente, nel ’95 pagai io l’autostrada nella tratta Ferrara - Comacchio Lidi.
Ora, contando la crisi del Medio Oriente, il rincaro del costo del trasporto su
gomma e l’accisa sulla benzina del 2012, mi devi approssimativamente…..”BAM,
testata sul setto e fuga con in mano il long Island. Il fondo lo tocca,
tuttavia, quando inizia a finire i drink degli altri. “Scusa, lo finisci
questo?” “no” “E tu lo finisci quello?” “no” “E, invece, tu lo finisci questo?”
“no, ma guarda che ci ho sputato dentro” “meglio, fa massa”.
6.
L’ASCETA.
È quello che, per carità, viene agli aperitivi, ma non prende niente. Si siede,
scorre il menù. Chiede in giro cosa prendono gli altri e poi, arrivato il suo
turno, non prende niente. Nisba. Passaparola. E il motivo è sempre quello: o ha
già cenato, o deve cenare. Ma porca boia affogata, che cosa vuol dire?????? Che
diavolo di senso ha?? Quando fai la cacca, ti lavi, no? Bene, plausibilmente ti
sei lavato già prima e ti laverai anche dopo, allora perché lavarti sta volta? Alla
fine sta mattina hai già fatto la doccia, no? E domani la farai di nuovo,
giusto? Beh allora non dovresti sprecare l’acqua. Ma tu ti lavi, eccome se ti
lavi, sennò nel giro di una settimana ti ritrovi con le stalagmiti nelle
mutande, cretino! Giuro è una cosa che mi fa diventare matto. Che poi la metà di questi, quando glielo fai notare, attaccano il disco "ma io lo faccio per fare compagnia agli altri" (con vocina fastidioso tipo fresa su marmo). Guardami bene, se vuoi fare compagnia a qualcuno così puoi andare a fare la badante senza neanche passare dal via, perchè, per quel che mi riguarda, se mi sentivo solo mi portavo dietro il cane.
7.
IL
SALUTISTA. Il salutista è quello che agli aperitivi prende l’analcolico. E non perché
deve guidare, ma perché io non bevo quella roba lì. Eccheduegigapalleconlafrutta!!!
Oh Signore dammi la forza. Ora, io non dico che devi prendere un’unta da
sembrare la catena di una bicicletta, ma porca miseria una bionda 0,3 in certi
paesi è considerata allattamento. Voglio dire, apprezzo la tua morigeratezza,
ma scendi un po’ a patti con te stesso. Siamo tutti assime, stiamo facendo un
brindisi. Macchè. Un fondamentalista. Il braccio armato dell’Hezbollah
alimentare. Quindi, armata di un frappe al limè, cocco, succo di agave e vita
eterna il/la salutista si avvicina al ricco buffet e riesce a selezionare i
cibi universalmente meno appetibili durante un aperitivo: l’insulso
guazzetto di pomodorini pachino dal sapore incerto tra l’aspro e il disappunto,
i sottaceti che sono diventati ruvidi da quanto non sono più sotto aceto e,
dulcis in fundo, la squallida insalata di farro al gusto di olio e tupperware. “e
lei signorina cosa prende?” “una depressione grazie” “con o senza ghiaccio?” “senza
grazie, tiepida, se si può” "la pistola per spararsi in bocca gliela porto a parte".