mercoledì 24 luglio 2013

L'APERITIVO, L'APERICENA, L'APERILCULO





L’aperitivo è l’ultimo vero rito incrollabile rimasto nella nostra società disintegrata dal relativismo etico più sfrenato. Prosecco, aperol, spritz. Praticamente uno e trino. Amen. L’aperitivo è cosa trasversale, che unisce le masse e travalica le classi. Questo, i campionati di calcio e lo spazzolamento senza pietà degli assaggi gratuiti al banco macelleria (che porca vacca mi capita sempre il cubetto con troppo grasso che provo a togliere senza sfilare dallo stuzzicadente; tentativo che si conclude sempre inevitabilmente con la caduta a terra del cubetto di ciccia e che mi spinge ad abbinare tutte le divinità che conosco ai diversi tagli esposti dietro la vetrina). D’estate poi ciao. La stagione delle gole secche, altrochè. Le docce dei bagni vanno solo a  sguazzone e il negroni si serve direttamente in pratici tubetti per l’igiene orale. Alla faccia di “date da bere agli assetati”, quella dei baristi è proprio una missione evangelica.

Data la vasta umanità che si raggruppa per l’occasione, la tentazione di classificarla è troppo forte.

1.      GLI INCONTENTABILI. Prendere un aperitivo con l’incontentabile è praticamente come convincere Lapo Elkann a prendere la metro. Nessun posto va bene o comunque non abbastanza bene. Lì si mangia troppo, lì si mangia troppo poco, è troppo lontano, non conosco al strada, devo guidare, costa troppo, costa poco, tutti se la tirano, nessuno me la tira, e c’è troppo verde e non c’è posto e non c’è spazio e lì ci andiamo sempre. E porca Eva mi viene da dire. Non si riesce mai, dico mai a prendere una decisione, se non sette minuti prima dell’appuntamento e chiaramente la scelta cade sul locale così esclusivo che è più facile che un cammello entri nelle mutande di sua altezza la regina d’Inghilterra. Morirai in fila chiedendoti perché ci esci assieme. Ah già, per smettere di bere.

2.      GLI SPLENDIDI. Lo splendido nasce in sala parto e vive in sala party. È il profeta del Martini bianco, il guru del prosecco, lo sceicco dello spritz. Non si decide con lui, lo si segue, ciecamente. Si perché lo splendido conosce ogni bar possibile della zona, saluta con il nome di battesimo ogni barista, sa la successione cronologica dei gestori e ha elaborato una propria funzione che mette in relazione la quantità di cibo mangiabile, la quantità di alcool disponibile, la massima cifra spendibile e la densità di pavana abbordabile per locale (praticamente un genio: “mi avevano chiamato al CERN, ma sapete com’è, io preferisco la CERNIERA" dice lui). Uscire con lui è come uscire col Papa. Saluta tutti, anzi benedice. Proprio si ferma e a ciascuno bisbiglia brevi preghiere all’ orecchio. Farci un discorso senza interruzioni è impossibile. Uniforme dello splendido: occhiale da sole a visore scuro, ma meglio beige, che tiene su per tutta la durata dell’aperitivo, camicia bianca/ azzurra sbottonata fino all’ombelico con in risalto il bicipite patrimonio dell’umanità, pantalone bianco lungo o corto e magari estroso (meglio bermuda, ma solo per gli splendidi d’acqua salata), mocasso scamosciato o (top) infradito di cuoio, alternative, modello “mipiacel’etnicosoloseinsaldo”. Ah, cosa più importante, tu vai ad aperitivo, lui “ a fare ape”, coglione!

3.      I PREDONI. Il predone arriva con una fame così incazzata che prenderebbe a sberle la cassiera. L’obiettivo della serata è la colica o l’indigestione. Non va ad aperitivo per la compagnia, ma per la convenienza: 4 chili e otto di roba da mangiare neanche alla Liddl durante un furto. Si lamenta che il piatto è troppo piccolo, che le forchette sono troppo poche e che cambiano i piatti troppo lentamente. La coda per il buffet, a cui si presenta con due sacchetti per la spesa, è un concetto geometricamente sfuggente per lui. Salta, dribla, schiva, si arrampica come il barone rampante pur di prendere ciò che gli piace, cioè tutto. Torna al tavolo con tre piatti pieni e passerà tutta la sera a guardare il buffet perchè “ tra poco portano i fritti, me lo sento, ecco hanno portato la pasta te lo dicevo ora la vado a prendere sennò la finiscono subito”. La speranza è che al dodicesimo giro il barista lo fiocini e lo appenda come trofeo di pesca alla parete.

4.      IL BEONE. Il beone è quello che di base beve. Tanto. Sempre. Comunque. Nella sua vita non ha neanche mai sputato il coluttorio, figurarsi. Arriva e inizia ad ordinare una quantità insensata di roba da bere. Considera poco la roba da mangiare per non distrarsi dal suo scopo: sentire a fine serata sfrigolare il fegato. Il problema è che il beone ha generalmente un target limitato che lo costringe a sottostare alla regola della proporzione etilica inversa a tre entrate: all’aumentare dei giri compiuti, diminuiscono assieme disponibilità economica e qualità della cosa ordinata. Nelle giornate migliori arriva a chiedere di poter succhiare i cubetti di ghiaccio dei cocktail finiti da altri clienti in un gioco a ribasso con la propria dignità, che ha dell’ammirevole.

5.      LO SCROCCHERO. Lo scrocchero è sostanzialmente una muffa. È l’ultimo anello della catena alimentare. È quello che ad un funerale sarebbe in grado di chiedere uno strappo a casa al carro funebre. Non paga una consumazione dalla caduta del muro di Berlino. Tiene il portafoglio, vuoto, in tasca, solo per assicurare l’effetto vita bassa, ma la maggior parte delle volte esce proprio senza, per evitare di cadere in tentazione. Ben presto gli amici smettono di offrirgli qualunque cosa ed è allora che lo scrocchero ha due alternative: o perire oppure diventare più astuto. Travasa i cocktail mentre la gente è in bagno, se lo porta da casa, prova a sostenere di avere fantomatici prestiti mai avvenuti “lo ricordo perfettamente, nel ’95 pagai io l’autostrada nella tratta Ferrara - Comacchio Lidi. Ora, contando la crisi del Medio Oriente, il rincaro del costo del trasporto su gomma e l’accisa sulla benzina del 2012, mi devi approssimativamente…..”BAM, testata sul setto e fuga con in mano il long Island. Il fondo lo tocca, tuttavia, quando inizia a finire i drink degli altri. “Scusa, lo finisci questo?” “no” “E tu lo finisci quello?” “no” “E, invece, tu lo finisci questo?” “no, ma guarda che ci ho sputato dentro” “meglio, fa massa”.

6.      L’ASCETA. È quello che, per carità, viene agli aperitivi, ma non prende niente. Si siede, scorre il menù. Chiede in giro cosa prendono gli altri e poi, arrivato il suo turno, non prende niente. Nisba. Passaparola. E il motivo è sempre quello: o ha già cenato, o deve cenare. Ma porca boia affogata, che cosa vuol dire?????? Che diavolo di senso ha?? Quando fai la cacca, ti lavi, no? Bene, plausibilmente ti sei lavato già prima e ti laverai anche dopo, allora perché lavarti sta volta? Alla fine sta mattina hai già fatto la doccia, no? E domani la farai di nuovo, giusto? Beh allora non dovresti sprecare l’acqua. Ma tu ti lavi, eccome se ti lavi, sennò nel giro di una settimana ti ritrovi con le stalagmiti nelle mutande, cretino! Giuro è una cosa che mi fa diventare matto. Che poi la metà di questi, quando glielo fai notare, attaccano il disco "ma io lo faccio per fare compagnia agli altri" (con vocina fastidioso tipo fresa su marmo). Guardami bene, se vuoi fare compagnia a qualcuno così puoi andare a fare la badante senza neanche passare dal via, perchè, per quel che mi riguarda, se mi sentivo solo mi portavo dietro il cane.

7.      IL SALUTISTA. Il salutista è quello che agli aperitivi prende l’analcolico. E non perché deve guidare, ma perché io non bevo quella roba lì. Eccheduegigapalleconlafrutta!!! Oh Signore dammi la forza. Ora, io non dico che devi prendere un’unta da sembrare la catena di una bicicletta, ma porca miseria una bionda 0,3 in certi paesi è considerata allattamento. Voglio dire, apprezzo la tua morigeratezza, ma scendi un po’ a patti con te stesso. Siamo tutti assime, stiamo facendo un brindisi. Macchè. Un fondamentalista. Il braccio armato dell’Hezbollah alimentare. Quindi, armata di un frappe al limè, cocco, succo di agave e vita eterna il/la salutista si avvicina al ricco buffet e riesce a selezionare i cibi universalmente meno appetibili durante un aperitivo: l’insulso guazzetto di pomodorini pachino dal sapore incerto tra l’aspro e il disappunto, i sottaceti che sono diventati ruvidi da quanto non sono più sotto aceto e, dulcis in fundo, la squallida insalata di farro al gusto di olio e tupperware. “e lei signorina cosa prende?” “una depressione grazie” “con o senza ghiaccio?” “senza grazie, tiepida, se si può” "la pistola per spararsi in bocca gliela porto a parte".

venerdì 19 luglio 2013

IL VIAGGIATORE DA ESPOSIZIONE



Porca boia finalmente è arrivata l’estate. Credevo che mi sarebbero evaporate le palle prima di andare in vacanza. Fatto pacchi, valige, sacchetti e me ne sono tornato a casa. Devo dire che il caldo umido come il fiato ansimante di un maniaco sul collo di una catechista è lo stesso dappertutto. Mi rende molle ed appiccicoso come una barretta di Mars. La cosa peggiore è che per via di questa iperattività sudoripara ho il culo che sembra ricoperto di carta moschicida. Non posso sedermi da nessuna parte, altrimenti il magico duo comincia a sudare, divenendo perfettamente aderente alla superficie di appoggio. Con conseguente incollamento. Non vi dico il dramma: ora sono costretto ad andare in bagno con un piede di porco ( per liberarmi dal vuoto pneumatico che fatalmente si forma nella tazza) e ho letto, divano, poltrone e sdrai segnati da una sindone laica, testimone di penniche bollenti.
Data questa mia sfortunata condizione biologica, sono costretto a stare sempre in piedi, come i cavalli. Ho deciso allora di fare due passi. Errore madornale. Perché poco distante da casa mia ho incontrato il viaggiatore da esposizione.
Descrizione:
il viaggiatore da esposizione è il maledetto turista che nello spazio di un’ estate visita tre continenti, diciotto stati, sedici capitali, ventitré regioni, una dozzina di spiagge, cinquecento musei e seimilaquattrocentottantanove deliziosi borghi chetunondirestimaieinvecemicisonoinnamoratoperchèguardailnostrobelpaeseèunpostopienodimeravigliecheneancheconosciamo. Praticamente è un nomade, uno zingaro che viaggia con Ryanair. Fin qui niente di male, se non fosse che lo scopo di tutto questo peregrinare è rinfacciarlo fino alla morte a chi come te ha in programma di seccarsi le balle come datteri al sole presso lo stabilimento “Marcella” di Capo Rizzuto, dove l’eritema solare è considerata animazione da spiaggia. Inspiegabilmente, infatti, il viaggiatore da esposizione, quando ti incontra, ha con sé otto intere memory cards piene di foto di viaggi appena fatti che lui suppone tu abbia un bisogno praticamente vitale di vedere:
“ allora guarda, questa è la foto del bagagliaio vuoto, questa del bagagliaio pieno, questa del bagagliaio con dentro Tobia  (bovaro del bernese da 108 chili a pelo lunghissimo, amichevole come una lastra di ghiaccio su un tornante) perché sai come sono, sono una sagoma. Questa è la foto di me al volante. Questa dei piedi del mio tipo/ tipa sul cruscotto della macchina. Qui siamo noi al mare. Qui coi bambini dell’Africa che stanno morendo di fame. Qui siamo noi con simpatici cappellini fluo in un locale sulla costa. Qui siamo noi in piedi. Noi seduti. Noi sdraiati. Uno albero. Uno scoiattolo. Il piatto tipico del luogo ( il cui odore di piedi ha fatto venire sfocata la foto). Noi sdraiati su un fianco. Noi che dormiamo.”
Si perché il problema di questa gente è che fotografa ogni cosa inutile. In quei casi uno dovrebbe essere sincero: la foto con te di fianco ai soldati della Regina o di te col cappello da messicano assieme al taxista sorridente che ti sta sfilando il portafoglio dalla  tasca, o la panoramica mozzafiato di conifere secolari al tramonto non piace a nessuno. È soltanto merda. Punto.
L’apice si raggiunge poi quando questo meraviglioso esempio di inceppamento del meccanismo evolutivo mi vuole convincere che “no guarda io non sono proprio il tipo da vacanza al mare. Cioè io se non mi vado a imbelinare in una foresta tropicale, se non mi faccio calare in una grotta a 1300 metri di profondità, se non rischio di farmi bollire da una tribù indigena o se non faccio un bel safari a mani nude cioè io proprio non mi rilasso. Non riesco a capire come fanno quelli a chiamare vacanza stare sdraiati al sole senza fare niente per una settimana”. Donna/uomo avventura ascoltami bene. Dato per assodato che non c’è nulla di male nel passare una settimana a brasarsi le chiappe su un lettino, come faccio a credere a te che vai via coi Viaggi del Ventaglio? Che, porca miseria, se non ti danno il posto finestrino in aereo ti viene una crisi di iperventilazione, o se te lo danno ma magari contrario al senso di marcia, in treno, ti viene la nausea. Mi chiedo, perché mi devi vendere la cavalcata in cammello e il the nel deserto sotto la tenda berbera come un’esperienza da Lawrence d’Arabia, quando sai benissimo che il the era della Lipton, la tenda della Quechua e che quei magrebini erano berberi nomadi e romantici come Hannibal Lecter è vegano. Scusa ma agli esploratori col bancomat faccio fatica a credere.

Per non parlare di quelli che mi vendono il loro viaggio come una sorta di impellenza sociologica.  “no guarda, io vado via soprattutto per i luoghi. Le atmosfere. Vado per incontrare le persone, voglio immergermi nella vita di quel paese, nelle loro vite, nella loro quotidianità”. Epporcatroia. Primo, ma che cazzo di quotidianità vuoi che ci sia a Formentera. Secondo, tu credi davvero in due settimane di riuscire “ad immergerti in un popolo”, alternando visite guidate in pullman a razzie dissennate di bancarelle alla ricerca del vestitino che è un amore (che diventa immettibile a casa), del soprammobile che è proprio adatto al mio soggiorno (si, se vivi in una capanna fatta di sterco e bambù) e della boccetta di sabbia del deserto (che come minimo è limatura di piastrelle da bagno). L’unica cosa che ti auguro quest’estate, mio caro amico giramondo, a te che viaggi più per raccontarlo agli altri che per levarti un po’ dalle palle, è di non incontrarmi in aereo. Si perché, dopo averti incontrato ho preso la decisione di iniziare un corso di volo. Specializzazione: esplosivi.

sabato 6 luglio 2013

I TELECRON(TR)ISTI (int del lettore)




Finita la Confederation posso dire di essere stremato. Non ce la faccio più.
 Non tollero davvero gli opinionisti della nazionale di calcio. Non perché tolleri gli opinionisti del campionato, ma perché se gioca l’Italia si cimentano tutti nel commento superfluo.
Si che l’Italia è paese di santi, poeti e navigatori, ma che lo sia anche di tuttologi calcistici quello no. Certo, uno potrebbe tranquillamente non ascoltarli tutti quegli ammuffiti, gente che ormai al bar ha stabilito la residenza, ed evitare di farsi una pessima opinione del genere umano. Basterebbe starsene a casa e farsi i fatti propri, direte. Tutto vero, solo che poi apri Facebook e non hai comunque scampo, roba che verrebbe quasi da dire che la libertà di espressione non è poi un diritto così fondamentale. E allora devo sfogarmi contro le 5 peggiori, intollerabili categorie.



Le donne, voto: quasi 1. Perché le donne intervengano proprio non me lo spiego. Voglio dire, ma io, homo tifosus, mi permetto di esprimere un’opinione sul nuoto sincronizzato? “Che perfetta armonia fra slancio ed uscita dall’acqua”, “come le sta bene quel fondotinta e come rimane intatto nonostante il cloro!!!”. Non lo faccio, non si fa. E’ una regola non scritta per la pacifica convivenza delle specie. Le donne invece puntualmente si imboscano in commenti pertinenti quanto le canzoni di Leone di Lernia a Sanremo. Ma la colpa non è loro, la colpa è di chi dà loro corda, chi risponde. Ed è inutile che annuite, perché anche voi, invertebrati esponenti del genere maschile, dopo la finale degli Europei Italia – Spagna, al commento “Dai forza Italia anche se non è andata tanto bene!!!” avete risposto. E l’avete fatto solo perché ha una quarta e un discreto fondoschiena. E io vi odio, servi della gleba che non siete altro.
Imbarazzo sportivo



Il campanilista, voto: 4 pugni in testa. Non è che io sia un nazionalista, un patriottico o un utopico esemplare di tifoso imparziale (sarebbe come sostenere che Ibra ha un bel naso), però i campanilisti radicali sono davvero insostenibili. Sono quelli che se un giocatore della nazionale non gioca nel SUO club (che è ovviamente il migliore al mondo), che se una volta il giocatore si è messo un cappellino abbinato alla sciarpa che non riproduceva i colori sociali della squadra, allora è un vigliacco, un traditore, uno che non meriterebbe nemmeno la cittadinanza italiana. E non provate a spiegargli che il concetto di “nazionale” e di “suo club” non sono perfettamente sovrapponibili. Ah, il giocatore sarà anche inevitabilmente una sega. “Si perché Bonucci è un cesso ambulante, è un cane, è proprio da odiare”, “beh ma non sta giocando male, anzi”, “no ma non centra vedi, è che lui è proprio un ladro, perché è juventino, e poi quando aveva 16 anni ha detto che Alberini aveva dei brutti capelli. Ma come si fa ad essere così merde? Alberini aveva il capello più fluente della serie A. Che cane che è Bonucci”. Che si può fare? Tacere e bersi la birra. Quella del campanilista ovviamente. E se possibile sputarci dentro.
Autismo calcistico



Il negativo, voto: 10 piaghe d’Egitto. L’italiano che guarda la nazionale è negativo, catastrofico se si trova in un bar o in una bocciofila. Si esprime solo per luoghi comuni, frasi scontate, critiche sterili e rutti di protesta. Perché la squadra è troppo giovane, perché i giocatori sono troppo scarsi, perché l’allenatore non ha le palle, perché il campo da allenamento ha l’erba sintetica di 3° generazione e non di 7° e quindi si fanno male perché sono degli incompetenti, perché piuttosto mettici il magazziniere che ha i piedi di ghisa ma almeno ci mette l’anima, perché se abbiamo vinto qualcosa è sempre stato un caso, perché i calciatori dovrebbero andare un po’ in fabbrica a capire cosa vuol dire lavorare, perché le tasse son troppo alte, perchè Berlusconi fa il bunga bunga e perchè in fondo Mussolini ha fatto anche cose buone. E perché dammi un altro bianchino, che oggi perdiamo. Ecco, dateglielo il bianchino. Anzi, annegatecelo.
Si stava meglio quando si stava peggio



L’ultrà, voto: 80 voglia di far casino. Non si sopporta facilmente. L’assunto di partenza è che i giocatori siano le comparse, lui il protagonista. Non riuscirete mai a convincerlo del fatto che se
avesse giocato con della cacca per 90 minuti il risultato non sarebbe cambiato. L’ultrà, poi, non lascia nulla al caso: è carico dalle 9 di mattina della settimana prima della prima partita di qualificazione per l’europeo (poco conta poi se siamo il paese ospitate e quindi facciamo solo amichevoli), gira con i colori italiani sugli zigomi per mesi, si avvolge nella bandiera stile Linus, indossa scarpe una verde ed una rossa con i calzini di spugna bianchi. E se ti incontra, alla luce della stima che lega la sua famiglia alla tua, ti abbraccia per bloccarti ed iniziare la predica per convincerti a mettere almeno 12 accessori che ricordino la nazionale e ad andare a tifare con loro in piazza almeno due giorni prima perché se si sta a casa da soli non si crea l’energia giusta. Tipo un animatore da villaggio vacanze. E in realtà spesso lo è.
Fancazzisti professionali



L’esperto, voto: male = (meno meno). L’esperto si siede sul divano per il prepartita, guardando tutti i canali su cui si parla dell’imminente sfida della nazionale. All’esperto non interessa nulla di quello che dicono, il programma è il pretesto perfetto per dire la sua all’incolpevole coinquilino - che per caso sta passando per la cucina direzione bagno - a cui del calcio proprio fottesega. Guai poi ad accoppiarli, cosa che peraltro sono bravissimi a fare autonomamente. Si scelgono con uno sguardo. Si chiedono se hanno giocato a calcio, a che livello (più basso è meglio è), se leggono la gazzetta tutti i giorni, quale squadra tifano (e perché) e si scambiano opinioni perfettamente idiote in merito alle peggiori squadre del mondo. Ah, la dinamo Zagabria quest’anno va proprio forte, mi è sempre piaciuta per il fascino che ha la sua storia – Devo essere sincero, alle squadre fiere come il Dundee United proprio non resisto – Ma hai visto il progetto che ha il Recreativo Huelva quest’anno?
A questo punto, dopo essersi annusati come i cani, decidono di vedere le partite insieme. Qualunque va bene. Ma quelle della nazionale sono l’apoteosi. Possono snocciolare tutto ciò che sanno su ogni singolo giocatore titolare, panchinaro, tribunista, non convocato. Ed è impressionante, perché sanno come si chiamano i suoi nonni, cosa faceva lo zio, quali allergie ha, che numero di scarpe porta e tutto ciò che di meno utile alla conoscenza calcistica si possa immaginare. Ma a loro piace così, con quell’aria di superiorità, quel sorriso di compassione per chi non è un fine pensatore del calcio o presunto tale, quella pancia da ex mezzo giocatore o da appesantito lettore di Tuttosport.
Piacevoli come l’umidità di Milano


Per fortuna che al calcio si gioca.

lunedì 1 luglio 2013

NOTTE PRIMA DEGLI ESAMI (e DEGLI ESAURIMENTI)




All’alba del primo luglio, coi maturati già maturi e gli universitari che per la verità cominciano ad essere un po’ marci e ad avere quell’odore forte di banane troppo mature, ripensavo  ad una canzone che almeno una volta nella vita ad un karaoke-nostalgia abbiamo cantato tutti.

 “Notte prima degli esami, notte di polizia.. certo qualcuno te lo sei portato via.. notte di mamma e di papà col biberon in mano, notte di nonne alla finestra (che poi che cazzo ci fa la nonna fuori dalla finestra?? L’ha chiusa fuori il nonno nella speranza che muoia di reumatismi, vista l’umidità assassina di quest’estate? O si è abbioccata dando l’acqua ai geranei??), ma questa noooooo (stonata da manuale)tteeeee è ancooooooo (ristonata, che più come una campana sembri un campanile in fiamme) ra nostra…”
Bello eh…tutto bello.. peccato per quel parafangaro di Venditti che con sta canzone qui ha tirato una sòla epica. Perché la notte prima degli esami, sia di maturità come per quelli universitari, fa schifo. Altrochè giovani attori pizze fredde e calzoni, è la notte di ansia, red bull e svarioni. Fanno schifo tutte ste notti qui. Son fighe ed elettrizzanti se l’esame del giorno dopo è quello della vista, o se l’esame è di un altro. Ma fosse anche la notte prima dell’esame della patente, farebbe schifo uguale. Cioè dai. È proprio una manica di ore che uno eviterebbe. Voglio dire, sostenere che la notte prima di un esame è figa è come dire che il Paradiso mussulmano con le quaranta vergini assomiglia alla sala di attesa del dentista. “mmm.. sa signora, mi devono estrarre tutti i quattro denti del giudizio e fare due otturazioni.. si saranno sedici ore di intervento.. ma sa qual è la parte che preferisco? Brava, proprio l’attesa.. mi elettrizza proprio.. perché l’ sul momento non te lo godi neanche, invece prima, mmmm.. per non parlare quando mi fissano l’appuntamento per la colonscopia che lì proprio vado giorni prima e mi faccio un drittone così non mi perdo neanche un attimo..”. Ma per piacere!!

Che poi la notte prima degli esami tira fuori il peggio di ciascuno di noi.

·         C’è lo scaramantico, quello che da tre anni a questa parte, da quando è riuscito a strappare un ventotto per un errore nella registrazione del voto, ripete costantemente la sera prima gli stessi comportamenti. È in grado di costringere i propri coinquilini a rivedere sette volte (esclamazioni ed evacuazioni incluse) la stessa partita/film che avevano visto quella sera o di rischiare la frattura del piede dato che la sera prima dell’esame se l’era chiuso nella porta rimettendoci due unghie. Ma del resto quella volta è andato così bene, non vorrai mica spezzare l’influsso.

·         C’è l’arrembante, quello che arriva alla notte prima degli esami che ha appena finito di ricoprire i libri. Si è munito di una cassa da dinamitardo di red bull e prevede di farsi l’after didattico più violento della storia. Escogita metodi da inquisizione spagnola per tenersi sveglio: ripetere seduto su un cono della manutenzione stradale, farsi il bidet con caffè bollente, strizzarsi i capezzoli con due mollette da bucato. Alle quattro di notte inizierà ad avere le prime allucinazioni da caffeina che comprenderanno, nell’ordine: San Giuseppe su un trattore, un animale domestico trapassato, Svicolone, la Giovanna della pubblicità della Saratoga ( brava la Giovanna) e la donna con le unghie dei piedi più lunghe del mondo. Probabilmente se supererà la notte, supererà anche l’esame.

·         C’è l’appestato, quello che in occasione della notte prima dell’esame si ammala di un centinaio di patologie, metà delle quali sono considerate estinte dalla attuale scienza medica. Inizia, con una lieve forma di febbre reumatica, a cui si va ad aggiungere un’insufficienza vascolare cronica dell’intestino, un filo di tubercolosi, albinismo, gigantismo, daltonismo e demenza senile con aspetti deliranti o depressivi. Verrà dichiarato clinicamente morto prima dell’alba.

·         C’è l’ottimista, quello dei programmi impossibili. È uno di quelli che fa calcoli improbabili su quanto può dormire e quanto studiare, illudendosi di poter ripassare tutti e due i volumi col materiale distribuito in classe, nel lasso di tempo che va dalle tre alle nove “si perché se vado a letto ora che sono le diciotto e mi sveglio alle venti, poi mangio e posso studiare fino a mezzanotte. Dopodichè dormo ancora altre due ore e si fanno le due di notte, esco in balcone, mi faccio un caffè, dormo nell’attesa che salga il caffè, mi sveglio, lo bevo e ciò che resta me lo verso addosso, mi metto a studiare dalle tre e se calcoli, dalle tre alle nove son sei ore praticamente ho guadagnato sei ore che in definitiva è una giornata di studio. Che poi, non ho neanche contato che ogni due ore faccio dieci minuti di pausa, e dormo, poi ne approfitto e quando vado a cagare dormo anche lì, così in tutto guadagno quaranta minuti di riposo e…..” e tu lo guardi chiedendoti se la droga l’ha assunta per via orale, endovenosa o rettale. Il suo destino, maledetto rintronato, è di addormentarsi alle dieci, cadendo in uno stato di morte apparente e risvegliarsi tre giorni dopo l’esame. Complimenti dottore!

·         C’è poi il ripensatore, quello che di base, la notte prima di un esame non sa più nulla. Bam, mesi di studio svaniscono così, convinto com’è di non ricordarsi un accidente. E allora comincia a meditare, con un certo qual gusto del drammatico, interrogandosi sul suo futuro. “ah me misero, me tapino…aaaah me sventurato, ma cosa sto facendo. ( il tutto andrebbe letto con un tono e una cadenza da coro di tragedia greca). Questo non è il mio destino, non sarà mai il mio futuro.. io devo fare il maestro d’orchestra..” e giù di patemi d’animo sulla vita da sogni che ci immaginavamo e che vediamo lontanissima ( onestamente non so come potrebbe essere utilmente impiegata una laurea in giurisprudenza per diventare controfigura di James Bond).

Onestamente le notti prima dell’esame fanno schifo. Non so Antonellone a quali si riferisca, ma non certo alle mie. Mi piacerebbe che, a fine della sua carriera, nel cofanetto platinum, facesse uscire una versione rimasterizzata dal titolo “Notte dopo gli esami”. Quelle sono notti fighe, notti che vale la pena. Se poi sono estive figurarsi. Ma non credo succederà mai: notte dopo gli esami non ci sta nella metrica.