giovedì 31 gennaio 2013

UN GETTO DI I.N.T.






Io non tollero le auto blu che passano incessantemente davanti alla stazione di Bologna. Ritengo giusto, chiariamoci, che le istituzioni, magari in determinate occasioni abbiamo necessità di avere dei veicoli di rappresentanza ( non vorremo mica che i rappresentanti di altre nazioni poi li emarginino, gli rubino la merenda e li chiudano in bagno all'intervallo). Quello che non tollero è il contrasto. Vedere da una parte gente stipata come bestie in un autobus di prima dell'unificazione darsi pugni in testa come nelle migliori lotte fratricide e a pochi metri uno che scende da una macchina che costa una finanziaria con in mano un plico di giornali ( non so se avete notato, ma i politici hanno sempre in mano quintalate di quotidiani, suppongo per i sudoku o per vedere i voti del fantacalcio) e che si fa mettere, giuro l'ho visto oggi, la giacca dall'autista. No vabbe raga non così. Ripeto, non dico mica di non avere la macchina di rappresentanza, ma un po' di buongusto però. Non davanti a pendolari incattiviti come terroristi curdi. È come organizzare una braciolata nel reparto grandi ustionati. Poi per forza la gente si altera e gli viene voglia di farti la pipì sul parabrezza e di metterti lo zucchero nel serbatoio e una fresa elettrica nelle mutande. Ma poi, la vuoi avere una macchina blu? Va bene guarda, non dico mica. Va bene la macchina blu, ma vorrei sapere: perché devi avere una Jaguar? Devi andare veloce, dove? Che la mattina c'è un traffico che i semafori per far scorrere la coda devono sparare in aria. La vuoi, ne hai assoluta necessità? Va bene, allora facciamo che usi una bella panda, così diamo una bella spinta al Made in Italy. Tutta blu se questo allevia il complesso del distacco. Guarda ci roviniamo, anche con la trazione anteriore te la diamo, vuoi mai che il Consiglio Regionale si riunisca sulle tre cime di Lavaredo. Oh, oggi sono in buona. Vuoi proprio la Jaguar, perché altrimenti ti sentì castrato e alla fine la tua auto la usavi come un'enorme pillola di Viagra con le ruote? Allora guarda, usarla pure, ma una cosa ti impongo, il pieno non ce lo smezziamo alla romana ma neanche per idea. E fidati che ti conviene, perché, se lasci fare alla gente, coi tempi che corrono, il pieno alla macchina te lo fanno a calci nel sedere.




UN GETTO DI I.N.T. ( perché l'intolleranza non è mai troppa in certi casi) 

mercoledì 23 gennaio 2013

IO NON TOLLERO I COMMESSI DEI NEGOZI (parte seconda)


Io non tollero i commessi dei negozi. Il ritorno. si perché, l’intolleranza verso la categoria è tale che ho dovuto dividere lo sfogo in due parti altrimenti la pubblicazione veniva bloccata dal mio antivirus che veniva preso da conati di vomito.
IL LENTO
Il lento è la kriptonite del cliente che ha fretta. La nemesi, tipo Freezeer per Goku. Arrivi tutto trafelato in negozio, per un motivo o per l’altro devi comprare qualcosa al volo, perché non hai tempo da perdere, entri, prendi ciò che ti serve, vai alla cassa e al momento del pagamento fai l’errore fatale. Dai un occhiata alla situazione generale delle casse e noti che in una c’è una fila che sembra di stare in autostrada, gente che spinge, che sgomita, madri che mandano avanti i bambini “che tanto il signore ti fa passare” (ma il signore in quel momento diventa pronipote di Erode il Grande),anziani che si giocano la carta della resistenza per saltare la fila ( e lo stesso signore tira fuori dal carrello l’orbace, da monito), mentre nell’altra non c’è quasi nessuno. E’ allora che con sorriso spavaldo come di quello che lancia i sassi al leone in uno zoo, ti avvii a pagare in quella “perché tanto non c’è nessuno”. E non sai che non c’è nessuno perché i clienti sono morti nell’attesa e i loro corpi sono stati tumulati nel parcheggio. Inizi a capire che c’è qualcosa che non va quando, guardando il commesso ti sembra di vedere una scena al rallenty. Tipo quelle nei documentari sui coccodrilli che azzannano la gazzella al fiume. Di per sé non sarebbe cattivo, non fosse che gira ancora con un processore Window 92 ( l’enorme ventola di raffreddamento sulla schiena avrebbe dovuto metterti in allarme). Il commesso ti prende la merce e la guarda. Come una cosa misteriosissima. La gira e la rigira come non fosse di questo mondo. Tu gli vorresti dire che è un maglione normale, magari non tra i più belli, ma alla fine non è mica per te e chissenefrega. Continui a guardarlo e lui come niente fosse continua nella dissezione del capo. Sta cercando il codice a barre. E fu sera e fu mattina. Lo trova ma il lettore non lo legge.
“Stra no o o….noo n loo le….gge” ti dice con la cadenza di E.T.
“No guardi non è che non lo legge, è che lei sta flashando da mezz’ora le istruzioni per il lavaggio in lavatrice”
Senti la ventola che inizia a girare. “ Nooon ho…..ca pi…to to to to to…to to to to”
“Ascolti, non vede che sta facendo passare sotto il lettore a barre : lavare separatemente, stirare da rovescio, prodotto in  India?
“ Ah… c api sco…….si ve….de…de…che dovrò….ò….ò….ò….ò….ò….ò….ò….ò (in quel momento passa un collega che gli da una botta per disincantarlo) dovrò digita…re il codice….ma nu al…..men..te”.
E li le gambe non ti reggono. Perdi conoscenza e ti risvegli che ormai è estate, con un maglione di lana e la pensione.
IL GIUDICANTE
Il giudicatore è il commesso che disapprova tutto quello che compri. Generalmente si trova nei negozi di vestiti. È chiaramente un figo astrospaziale. Tipo “dono di Dio alle donne”. Fisicato, alto, biondo, occhio languido. A lui anche un herpes gonfia come un kebap sta bene. A te, invece, dona solo il buio pesto. E lui lo sa appena entri in negozio. Ti guarda alzando impercettibilmente il sopracciglio, chiaro segnale che hai invaso il suo territorio in cui tutto è e deve essere bello. Mentre giri per gli scaffali senti il peso del suo bellissimo sguardo in ogni tuo gesto, che viene sottolineato con un segnale. Prendi quella camicia è lui dietro di te scuote la testa, guardi quel bel paio di pantaloni e lui lancia due colpi di tosse di ammonimento, stai per provare una maglietta e lui inizia a fischiettare la colonna sonora di Profondo Rosso. Allora, vergognandoti come un ladro ti prostri alla sua presenza e gli chiedi di darti una mano.
“Di cosa hai bisogno?” ( il giudicante ti da sempre del tu, sei tu che gli dai del Voi)
“Di un paio di pantaloni”
“Beh intanto andiamo allora nel settore giusto per i grandi infortunati..”
“Ma scusi, come incidentati??!”
“Si quest’anno abbiamo deciso di impegnarci anche sul sociale..(per vestire anche le lavastoviglie come te, ma questo lo pensa soltanto”
“Dunque, vediamo, che taglia porti?”
“Una 48….”
A questo punto il suo sopracciglio si è alzato talmente tanto che ha passato la fronte, scavallato la nuca e sta risalendo il mento.
“ Ah, insomma, roba da circo Togni. Guardi, se esce, in fondo alla strada c’è un negozio che vende moquette adesiva..”
“ No no guardi, mi son sbagliato volevo dire 42!”
“( sé vabbe, o’ ccafè, fratello!) ah d’accordo.. ma sei sicuro? No perché..”
E tu senza dargli modo di finire la frase gli strappi i pantaloni di mano e scappi in camerino dove inizia una battaglia impari. Nel tentativo di infilarli cominci a sudare come una bestia. Sembri il gruppo del Laoconte stritolato dal mostro marino. Ma devi infilarteli, ne va della tua dignità di persona e di lavastoviglie, dovessi lubrificarti il corpo con grasso di balena. E così esci dal camerino con questo cilicio di stoffa alla vita, che ti stringe così tanto che non hai più la pancia ma una quarta di reggiseno e la gobba. Provi a dissimulare davanti allo specchio, in pose patetiche, rendendoti conto che sembri la versione in 16: 9 del commesso giudicante, che guarda caso ha proprio quello stesso paio di pantaloni, ma lui sembra esserci nato dentro. Ed è sempre lui che decreta la tua sconfitta finale dicendoti, dopo che hai pagato, “ non ti preoccupare, che tanto, lavandoli si allargano, sempre che tu non li batta sul tempo (anche questo lui non lo dice, ma il suo sopracciglio si)”.
IL COMMESSO DELLA TELEFONIA
Decisamente la categoria più odiosa della Terra. Generalmente, al momento dell’assunzione gli viene dato un unico neurone, che dovranno condividere via bluetooth tra tutti i commessi del punto vendita. Quando inizi a parlarci, senti che la comunicazione è praticamente impossibile, come tra un muto e un sordo. Neanche il linguaggio dei segni può soccorrerti. Il tuo problema è che vuoi un contratto per inviare messaggi gratis e loro ti rispondono che è un problema di traffico alla risposta al mese con scatto settimanale alla risposta di voip senza l’aggiornamento dello iOS per lo smartphone con swap del 3G con la Tribù, per  you and me to be free pay for me Rivera e Platinì. A te chiaramente viene il mal di mare e una voglia improvvisa di fare una donazione anonima ai Black Block. Ma il drammatico è che, lì per lì, l’offerta e tutto il meccanismo ti sembra chiaro, logico e addirittura conveniente. Poi quando esci, se uno sconosciuto qualsiasi ti chiede che tariffa hai e perché paghi 180 euro al mese con multi scatto a schema libero e hai acquistato una quota di azioni di un’azienda di mine anti-carro con sede in Belize, perdi l’uso della parola, come dovessi spiegare uno dei segreti della Fede. Danno il peggio di loro, per finire, quando invece devono risolverti un problema. Sfoderano lo sguardo di compassione di chi guarda una scimmia scambiare con un’altra una banana per della cacca, e con un tono di sufficienza ti spiegano il problema anche se presidente onorario del MENSA, come se tra i due l’imbecille fossi tu. E nel caso il problema fosse più complesso di quel che sembra, o è colpa tua che sei una cacchina di mosca molle, o del computer “che adesso non mi risponde, si vede che stanno facendo dei lavori in sede centrale, torni dopo, al limite più tardi, oppure si leghi al collo quell’inutile mattone coi tasti e vada a buttarsi in un canale”. Perciò ci devi tornare un centinaio di volte, inutilmente, ogni volta per motivi che guarda caso non hanno nessun nesso con la loro malcelata inettitudine. Ed è allora che capisci il senso della frase: “Ho commesso un omicidio”.
I.N.T. I COMMESSI DEI NEGOZI (parte seconda)

martedì 15 gennaio 2013

IO NON TOLLERO I COMMESSI DEI NEGOZI (parte prima)




Io non tollero i commessi dei negozi. Una categoria paragonabile ad un’ ulcera professionale. Gente che penso debba aver fatto dei test attitudinali di inettitudine e di odiosità prima di essersi iscritta al prestigioso albo di categoria. Sotto i saldi, poi, come ora, le loro straordinarie doti vengono tutte a galla come in un water. E’ risaputo, infatti, che salvo alcune dorate eccezioni il commesso sta alla voglia di comprare come le piattole carnivore inguinali stanno all’accoppiamento romantico. Un vero e proprio anti-concezionale dello shopping.
IL SEGUGIO
La prima categoria di commessi sono i segugi. Ti adocchiano a guardare la vetrina e vanno subito in fibrillazione. Le pupille si allargano, iniziano ad annusare l’aria come i maiali da tartufo e camminano nervosamente senza rompere il contatto visivo. Se disgraziatamente entri, con la presunzione di guardare quel paio di guanti, solo guardare, non lo vuoi comprare, neanche ti servono i guanti, hai le dita pelose come quelle dell’uomo di Similaun, pensate per poter scavare per ore nella neve per fare una buca abbastanza grande da poterci morire dentro, quindi un paio di guanti ti sono assolutamente inutili, ma li vuoi solo vedere. Oppure hai appena preso 30 bei calci nel culo all’ultimo esame di sessione, o magari sei stata lasciata dal ragazzo di turno che ti ha detto: “ non fagiolina, non ti lascio perché sei grassa, è che la bigamia in questo paese è proprio vietata. Ti lascio per motivi politici, vedi?! Che se poi ci fermano non è mica facile convincere la polizia che sei una persona sola e non due, visto che poi al cinema dobbiamo sempre comprare tre biglietti; e non dire che il terzo è per i cappotti”. E per questo tu vuoi solo entrare nel negozio, in silenzio, prendere quella maledetta pancera in ghisa che c’è in sconto, non scambiare parola con anima viva, pagare e andare a scavare una fossa nella neve come l’ominide di qualche riga fa. Invece il segugio ti ha visto e appena entri ti si fionda addosso come una poiana necrofaga.
“Ma salveeeeee!!” sorrisone smagliante “posso aiutarla?”
“No guardi” (salivazione azzerata, faccia tirata in una smorfia di morte) “ do solo un’occhiata!”
Ma il segugio mica lo convinci. Remissivamente si allontana, ma solo per tornare alla carica. Ti osserva con la coda dell’occhio. Finge di riordinare qualche scaffale, sempre più vicino a te, continua a guardarti con la coda dell’occhio e prova a trattenere l’acquolina della bocca che gli fa lasciare dietro di se una scia come le lumache. Se poi il cliente persevera nell’autogestione, si rifugia dietro la cassa, fingendo calcoli inutili, preso da una crisi di iperventilazione. Prova disperatamente ad intromettersi nei tuoi acquisti
“Sta cercando le pancere? No perché le trova nel terzo scaffale lì a destra. Poi guardi se vuole un bel prodotto, abbiamo in offerta questo mese il modello Vajont, la pancera per bacini idrografici. Con tanti colori! Oppure trova anche quelle termoriscaldate poco più in là per l’addome freddoloso..” (sorriso da barracuda)
“No guardi, davvero, non ho bisogno di niente, sono a posto così.”
Comincia, allora, per l’ansia, a battere il tempo con i tic nervosi della faccia.
Rapido consiglio: se riuscite a comprare qualcosa senza il suo aiuto, evitate di tornare in quel negozio in futuro. Per allora i segugio avrà ordinato un set da 25 di tagliole a doppia lama per la caccia all’orso bruno. L’avete fregato una volta, basta e avanza.
L’ESPERTO
L’esperto è il commesso che fa il commesso, ma in realtà avrebbe dovuto avere una cattedra e un corso specialistico all’università. Sa tutto di ciò che volete e ha la missione di farlo sapere anche a voi. Se chiedete una crema corpo, magari per un regalo, vi spiega l’etimologia della parola crema, si profunde nell’elencazione delle differenze tra una crema e un latte corpo, ve ne spiega la composizione chimica, il metodo applicativo, e vi intrattiene sulle doti organolettiche del patchouli ( perché, se il regalo riguarda la cosmesi, è sempre al patchouli) e il suo ruolo storico nell’emancipazione della donna in Sud America. Sottocategoria dell’esperto è il tecnico. Ecco un breve scambio verbale (NB: il tecnico è l’uomo più scorbutico e indisponente dell’intero globo terracqueo; le sue parti andranno lette di conseguenza).
“Salve, vorrei un chiodo”
“Eeeeeeeeh, un chiodo”
“Si, guardi, un chiodo”
“ Ma che chiodo?”
“UN chiodo per attaccare UN quadro ad UN muro.”
“Eh beh, ma che muro non perché sa in base alla parete bisogna decidere la lunghezza, il diametro..”
“Guardi, non lo so, è un muro come gli altri, senza pretese. Se lo metti da qualche parte quello sta lì fermo, non parla, non sporca, non fa domande. Anzi le dirò, in questo momento mi manca persino il mio muro!”
“Eh ma così non è mica facile. Mmm..dovrei averlo davanti per consigliarle bene.. vabbè.. cosa ci deve attaccare?”
“Un quadro”
“Eh, ma che quadro”
“Il mio”
“No, voglio dire, cosa c’è rappresentato?”
“Ma scusi, ma a lei che cosa frega?!”
“Eeeeeeh ma vede.. io mica posso venderle un chiodo così a caso. Sa se il quadro è vecchio ci vuole un chiodo di tradizione. Se è un quadro moderno ci vuole un chiodo al passo coi tempi. Se è un quadro surrealista ci vuole un chiodo che in realtà è una pipa che in realta questa non è una pipa. Vabbe..ma mi dica.. che cornice ha::”
Insomma, morale della favola, nello stesso negozio acquisti tre quintali e quattro di forattini, due sacche di palta e dell’intonaco, una veduta di Venezia del Canaletto, battuta all’asta per 200 000 euro, una cornice in legno dorato e bronzo a motivi fitomorfi e il chiodo più banale della terra, che se ne compravi altri tre, pensi, ti potevi crocifiggere e risparmiavi tempo. 
TO BE CONTINUED

I.N.T. I COMMESSI DEI NEGOZI

venerdì 11 gennaio 2013

IO NON TOLLERO SERVIZIO PUBBLICO (DI IERI)




Io non tollero Servizio Pubblico. Anche qui ci vuole una precisazione. Non è che non lo tollero in toto; è vero, certe cose mi vanno un po’ giù per le scale di cantina, ma in generale non è quello. Io non tollero puntate come ieri. La famosa puntata Berlusconi contro Santoro. Praticamente un derby nella capitale. Gente che si preparava da giorni, come in un ritiro di campionato, allestiva maxi-schermi, preparava cori ultrà e lucidava le spranghe e gli striscioni da cerimonia. Neanche alla finale degli Europei e devo dire che il sapore che ha lasciato in bocca è stato proprio un po’ quello: di suola di scarpa durante la concimazione.
I protagonisti erano quelli delle grandi occasioni. Un Santoro, in evidente erezione da share, che entra spavaldo come quello che partecipa alla caccia della lepre pigra, apre il duello con una canzone omaggio al mondo della corrida ( e ad un certo punto è sembrato di trovarsi più davanti alla celebre trasmissione dei “dilettanti allo sbaraglio” che in un salotto politico), al mondo dei toreri. Roba che Hemingway avrebbe dato di stomaco, sia di sopra che di sotto, contemporaneamente. All’angolo sinistro troviamo invece lo sfidante. Silvio Berlusconi. Un leader ormai in pelle di coccodrillo come le cinture. Talmente tirato che le orecchie si toccano dietro la testa. Fiero ed orgoglioso sotto quella doppia passata di intonaco e i capelli disegnati con la biro. Gonfio come un gavettone. Nella mia fantasia ho immaginato che in realtà non sia grasso, ma si sia premurato, prima della trasmissione, di farsi una fagiolata terroristica, in modo da potersi far saltare in aria se messo all’angolo. Ultimo e non ultimo, poi, San Marco Travaglio martire, con il sorriso del veterinario prima di ogni castrazione. Lo aspetta al varco, Marco. Con due editoriali atomici, che Ahmadinejad fammé ‘n caffè proprio. Gli altri sono solo comparse e rumore indistinto.
Gli ingredienti per un duello alla Sergio Leone ci sono tutti. Si può quasi sentire il celebre fischio di sottofondo ( ma forse è solo nonno che quando si addormenta sulla poltrona sembra una teiera).
E invece, la tragedia. Anzi, la tragicommedia. Due ore e mezza di cinepanettone. Mancava solo de Sica che passando lasciasse partire un “ ‘sti cazzi!” e una gag ambigua tra Vauro e la Innocenzi. Ora, va bene la mediocrità. Ma non a questi livelli. Scenate da prima donna, comizi retrò e letterine che neanche la Posta del Cuore. Santoro ripete la stessa battuta per circa 87 volte, si incarognisce e poi fa il piacione; passa da essere il conduttore ad essere l’ospite; soffre non poco il dribbling dell’avversario e gli si chiude la vena alla lettura della prima lettera di Silvio agli Zebedei. Sembra un grosso gatto arruffato ubriaco, di quelli che camminano storti e che saltando sul balcone mancano fatalmente il bordo. Senza molta inventiva e con molta invettiva. Si riduce a ridoppiare una figura di merda del Cavaliere (di quelle che trovate nella Platinum Colletion sotto le feste di Natale) guadagnandosi il titolo di Gialappa de noialtri.
 Berlusconi, appena arrivato, ci si è resi conto che era a proprio agio nel programma come uno che è stato fatto accomodare su un cane idrofobo. Ha dato fondo al proprio repertorio d’annata (perchè, comunque, se si balla, lui non si tira indietro) . Battute, comizi, numeri da avanspettacolo, negazione ad libitum, supercazzole. Un incrocio tra Houdini, il Joker, il mago Do Nascimento e un circo itinerante polacco. Mancava solo facesse le scoregge con l’ascella e rubasse il naso a Ruotolo (solo una comprensibile repulsione l’ha trattenuto da sottrarre quella voliera baffuta) e poi avrebbe fatto l’en plein. non c'è che dire, un escapologo di razza.
Travaglio dal canto suo è come la cena del 26 o il pranzo del 27. Uno di quei pasti incolori, in cui la gente “guarda io mi faccio il semolino e tu cosa vuoi?” “Ah io proprio prendo solo un po’ di tè e magari ci inzuppo un po’ di pandoro, che ho ancora tutto lo zampone sullo stomaco!”. Asciutto e molle. Un po’ ingrigito ecco. Si, d’accordo, la seconda lettera aveva degli spunti, ma tutta roba già vista e già sentita. Vivaddio un po’ di furore! Aspettarsi che suonasse una lambada con le sue costole forse era eccessivo, ma avere il brio degli Inti-Illimani quando suonano “My heart will go on” non mi sembra consono.
Il risultato di tutto questo è stato imbarazzante e avvilente. Non si è fatta informazione. Non si è fatto un buon prodotto e tanto meno un buon Servizio. A chi guardava, alla fine della rumba, è rimasta la sensazione di aver visto uno show, tipo quelli in prima serata su Rai uno, in cui tutti avevano una parte o in cui ognuno, a turno, interpretava uno ruolo, sempre uguale per tutti è tre. Tutti hanno perpetrato i clichè e i pregiudizi della propria rispettiva categoria. Più che Servizio Pubblico si sarebbe dovuto chiamare Luogo Comune. E ti rendi conto che Berlusconi e Santoro, come succede a tutti i nemici perfetti dei fumetti, legati a doppio nodo dallo stesso destino, sono invecchiati insieme. Si sono sbiaditi allo stesso modo.
Ma la cosa che fa più male è la vergogna. Come quando quello di fianco a te in biblioteca risponde al telefono e ride sguaiatamente e tu vorresti pregarlo di mettere giù perché tutti lo stanno guardando. La vergogna e l'imbarazzo di aver visto altezze e non statura, esperienza e non competenza, battibecco e non dialogo. Ognuno è andato a letto con lo sconforto e col rimpianto che la gru sullo sfondo non abbia ceduto di schianto. Doveva essere una sfida, accesa, appassionante, ma costruttiva. E invece nè corrida nè toreri. Questa sera è sembrato, che del toro, ci fossero solo i coglioni.

I.N.T. SERVIZIO PUBBLICO (DI IERI)

lunedì 7 gennaio 2013

IO NON TOLLERO GERARD DEPARDIEU


Foto : Ansa 


Io non tollero Gerard Depardieu. O meglio da qualche giorno Gerardijli Depardioskevic. Stato civile sulla carta d’identità compagno tovarish. Si perché il canappone più amato d’oltralpe, ha pensato bene, nel fuoco incrociato di tasse, Maya, crisi e rating, di diventare russo! Alèèèè!
Non che ci sia niente di male, intendiamoci. Non ho niente contro i russi o la Grande Madre Russia, terra di dittatori a noi cinematrograficamente cari (Stalin sembra Peppone e Putin sembra Timon del Re Leone),delle donne più belle del mondo accompagnate da uomini scandalosamente brutti e gonfi, degli scrittori dai nomi simili a targhe di automobili e dell’autocombustione per ingestione eccessiva da alcool. Se il gallico Gerardone vi si fosse trasferito perché curioso di vedere l’influenza della vodka sul conteggio delle probabilità nel gioco della roulette russa, capirei. Ma il mandrillo d’Orleans si è scoperto sovietico da quando ha scoperto il regime tributario sovietico: un bel 13% di imposta, sul reddito, qualunque esso sia! A Gerry non gli è sembrato vero! Praticamente, che tu possegga una casa classificata per metratura come “Piazza Rossa” o che dividi con altre cinque persone un ombrello e 150 metri di carta igienica fa lo stesso! 13 per cento per tutti!! Altrochè libertè egualitè e voulevu patè!!
Inviata la richiesta di cittadinanza, Putin, che in Russia, da solo, ricopre la carica di Presidente, di first lady e di Eto’o nell’Anzi Machackala (ma in quell’occasione è sotto copertura), ha aperto le frontiere  con un arabesque diplomatico che a confronto Rudol’f Nuriev sembra uno di quegli oranghi allo zoo a cui hanno insegnato a chiedere le noccioline con le mani.
E così il francese è diventato russo. Roba che neanche Google traduttore. Alla faccia del proverbiale isolazionismo russo. Quando Gorbacev l’ha saputo, gli son venute le scalmane per l’eccitazione ed è ormai da tre giorni che ha lasciato la propria dimora, completamente nudo, fischiettando la Marsigliese (We miss you Michail). La cosa che non tollero è proprio questa. Il cambio per convenienza.  Due paesi, che fino a ieri ce l’hanno menata perché come son patriottici loro solo loro, perché i nostri martiri della patria sono più martiri della patria dei vostri e perché ai nostri veterani mancano più pezzi che ai vostri, adesso misurano la cittadinanza con il modulo del 7 40.
In un momento in cui tutti i sacrifici sono apprezzati e apprezzabili e in cui c’è gente messa decisamente peggio, che per le tasse fa davvero fatica a vedere l’alba del 27, invece di mostrare un po’ del nerbo di importazione di cui tanto vi vantate e di dare l’esempio, machemai, fai su le tue robe, ti alzi e a cavallo di una gigantesca lumaca te ne vai via, lentissimamente, stile “Se vedemu besughi!!”. Roba che se al mondo ci fosse un po’ di giustizia ti troveresti alla dogana, pieno di vodka come un materasso ad acqua, Ivan Drago e Lenin, anche lui pieno, ma di lanina vergine come un divano in pelle della Foppapedretti ( che diventa anche letto matrimoniale all’evenienza), tutti e due pronti a darti un bel calcio nel cirillico.
Cosa che non tollero: poco dopo l’arrivo in Russia, sembra che Depardieu abbia già avuto l’idea di fare un film autobiografico. E’ la storia di un grande artista, dall’animo libero e viaggiatore, che però è perseguitato da un esattore delle tasse che non gli da tregua. La storia di una grande fuga insomma. Negli ambienti gira già il titolo: “Sulle ali(quote) della libertà”.

I.N.T. GERARD DEPARDIEU

sabato 5 gennaio 2013

IO NON TOLLERO LE FOTO DI GRUPPO





Io non tollero le foto di gruppo. Quelle modello foto di classe o della famiglia alla comunione del cugino. Hanno il potere di trasformare te, individuo dall’autostima scricchiolante, nel gobbo di Notre-Dame dopo lo schianto con la moto. Si diventa irriconoscibili.
“Toh, guarda! Ma chi è che nella foto ha cagato vicino a nonna?”
“Marcella, guarda che sei tu..”
“…..ma è impossibile!! Io avevo il cappellino!!”
“Lo vedi? E’ lì, dove sembra tu ti sia fatta il riporto col tappetino dell’automobile”
Un dramma universale. Io personalmente, non son mai riuscito a venire non dico bene, ma almeno dignitosamente. Le ho provate tutte. Mettermi di profilo, di fronte, davanti, dietro, di spalle. Niente. Sembro sempre il testimonial di una campagna di raccolta fondi per i lebbrosi di Molokai. Nell’attimo prima del click, la mia faccia subisce una mutazione. Perdo i capelli, i denti si ritraggono, il sorriso si storce in verticale, il naso si affossa e chiudo gli occhi. Divento praticamente un uomo con due culi. Poi chiaramente a fare la foto è stato scelto lo zio Pieraldo, che ha passato gli ultimi trent’anni in una foresta nel Borneo e l’ultima foto che ha fatto era una dagherrotipia della breccia di Porta Pia. Quindi la posa deve essere mantenuta per ore perché: e non è scattato il flash, e siete venuti mossi (no zio, è nonno che ha il Parkinson,  buon’anima) e la nonna è venuta con gli occhi chiusi (no zì, è nonna che sta dormendo proprio, anzi datele una botta che è andata in apnea e pare proprio brutto ci lasci alle proprie nozze d’oro).
Se invece il parente è munito delle competenze minime necessarie, allora scatta la trappola malthusiana della macchina fotografica, che asserisce: “all’aumento in progressione aritmetica dei parenti corrisponde un aumento in progressione geometrica del numero delle macchine fotografiche”. Un parente una fotocamera; due parenti due fotocamere; tre parenti quattro fotocamere; quattro parenti sedici fotocamere e così via. Con il risultato di procurare una temporanea paralisi facciale agli astanti, che sembrano usciti dalla Fiera rionale dell’Ictus e di abbrustolire le file davanti come fette di bacon a suon di flash.
Non tollero poi, delle foto di gruppo, il rito del “ciiiiis”. Concepito come trucchetto per far sorridere (ma che sortisce l’effetto di far saltare le otturazioni e di sollevare una pioggia di sputi da far invidia al Raduno Mondiale dei masticatori di tabacco) è diventato l’occasione buona di ogni imbecille per sfoggiare tutta la propria contagiosa simpatia. Mi riferisco a quelli che, ad ogni foto di gruppo, modificano il ciiiiis per l’occasione.
La prozia ha compiuto ottant’anni? “ Adesso diciamo: ottuagenariaaaaaaa!”
I nonni hanno fatto i cinquanta anni di matrimonio? “ Al mio tre dite: pensione di reversibilitààààààààààà!”
La nipotina tanto carina e tanto precoce ha fatto la cresima? “Guardate in camera e dite: anche con una terza vale comunque come incestooooooooo!”
Il risultato è un gruppo di persone trasfigurate da smorfie disumane, come in quegli affreschi medievali della morte trionfante. Alla vista, la conversione è assicurata.
Non tollero poi quando viene la pessima idea di fare queste foto a tavola. Il parente infame si alza e all’urlo di “Ma facciamo una bella foto a questa tavolata!” lascia andare una sventagliata impietosa di flash. La sortita è tragica: i più vicini all’obiettivo sembrano dei malati cronici di gotta da tanto che vengono ingrossati nella foto; in lontananza si vede il fratello del nonno, piegato di trentasette gradi a sinistra per fare quella loffia “che è dal secondo antipasto che tengo”; i pargoli iracondi tenuti immobili dalle rispettive madri con una mossa di sottomissione da esercito israeliano. Ma tra tutti, immancabile c’è lui. Quello con la bocca piena, che ha aspettato apposta quel momento per mangiarsi quell'inutile pistacchio e che poi grida "ma daiii!! son venuto a bocca piena!! dobbiamo rifarla!". Penso che se vai al ristorante  senza, te lo diano col coperto. Marco Pannella, durante i digiuni, l’hanno sempre fregato così.
Intollerabile è, inoltre, il fotogenico modesto. Ogni gruppo fotografico ce l’ha. E’ quello che viene sempre bene nella foto, anche se la sta facendo lui. Puoi anche sferrargli un disonesto colpo sotto la cintura un attimo prima della foto, che lui/lei sembrerà sempre un’apparizione mariana e invece tu esci ripugnante come il mostro di Dusseldorf. Dalla sua testa, con la luce a favore, puoi vedere a volte irradiarsi un piccolo arcobaleno. Così, mentre tu ti stai guardando in quella foto e pensi che alla fine, tolto qualche disagio per i metal detector all’ aeroporto, una maschera di ferro è il capo d’abbigliamento che fa per te, il fotogenico modesto ti si avvicina ed esclama: “No, ti prego, mettila via! Non farmela vedere chè sono orribile!”.
Stupore. Primo: ma chi te la stava facendo vedere la foto che mi vergogno come un ladro e penso sarò costretto a dar fuoco ai negativi e soffocare nel sonno il fotografo?! Secondo: non definirei orribile la foto di uno a cui basta la sola imposizione del proprio book fotografico per mettere incinta una donna. Mi auguro che l’acne ti travolga come una slavina.
Ma, cosa che non tollero più di tutte (e concludo) è quando, poco prima dello scatto mi si dice: “Ma no! Non mettetevi in posa. Siate spontanei! Facciamola al naturale!”. Al naturale?! Come sono io al naturale?!?senza bollicine? Senza additivi e conservanti?? Quando lo dicono vado nel panico. Anche respirare ma sembra un tantino una forzatura. Non so come mettermi, dove stare, cosa fissare. L’unica cosa che mi viene in mente “al naturale” è sempre e solo il tonno. Così, da qualche tempo a questa parte, ho attaccato su tutte le maniche delle giacche due belle pinne gialle. Oh, continuo a venire come un disperato nelle foto, ma con quello che da lo sponsor mi pago il foto-ritocco.
I.N.T. LE FOTO DI GRUPPO

giovedì 3 gennaio 2013

IO NON TOLLERO QUELLI CHE FANNO JOGGING

Io non tollero quelli che fanno jogging. Sono una categoria di persone verso cui l'odio sociale non sarà mai abbastanza veemente. Sono una piaga sociale al pari dell'analfabetismo primario e delle condizioni igieniche dei bagni dell'autogrill. Una cosa per cui ci vorrebbe proprio un plotone di volontari che salvi questa gente da se stessa e dalla strada.
Non tollero il jogger (no, ma dai, seriamente, si chiamano così???no dai vabbe..) perchè, per prima cosa, è un feticista del proprio corpo. Ma di parti del corpo senza un senso. Io li vedo, che si trovano prima o dopo la prestazione a fare delle sedute di petting verbale.
"Mmm Giovanni, hai visto che polpaccio prepotente ho? Ci puoi grattugiare la bottarga."
"Uau, hai proprio ragione..me lo faresti leccare?"
" Certo, solo se tu prima mi fai dare una ciucciata al tuo tendine di Achille che sembra una corda di violoncello!"
"Oh, adulatore!!! Lo sai che per avere le tue caviglie venderei mia nonna alla mafia cambogiana del traffico di organi!!"
"Beh, e vogliamo parlare dei miei adduttori? Guarda che con queste bestie riesco a strangolare una coppia di donnole adulte."
Disgustoso. Davvero disgustoso. E' chiaro che dopo questa serie di preliminari, non mi stupirebbe vederli tentare di accoppiarsi con una scarpa da tennis.
Non tollero quello che fa jogging anche perchè tende a credersi una promessa rubata al mondo della corsa. A sentire lui, Dorando Petri è Pietro Gambadilegno. Prepara allenamenti dai ritmi disumani con tempistiche da campo di lavoro sovietico: un'ora di stretching, quaranta minuti di scatti, otto ore di corsa, centosettanta serie di gradoni. Tutto in previsione della corsa cittadina di primavera, che viene considerata il vero banco di prova e attesa dallo stesso come le Olimpiadi (con la sola differenza che madrina della corsa è Erminia Nazionale, neomelodica di Battipaglia, parente di una truccatrice di Sanremo, e che i ricchi premi sono una porchetta da 112 chili, un buono per una mensola al Paradiso del Mobile dei fratelli Scafoni e sei bottiglie di lambrusco di produzione parrocchiale).
Ogni jogger che si rispetti, poi, ha un vero e unico idolo: la maratona di New York. "Si perchè vedi, farla sarebbe il mio grande sogno...cioè il coronamento del mio impegno e della passione...". Ogni anno sembra l'anno giusto per andarci. Dopo qualche mese, però, l'anno giusto diventa sempre quello successivo.
Progettano il viaggio e te lo descrivono nei minimi dettagli e all'ultimo momento rinunciano per i motivi più idioti, del tipo che si scoprono non poter soffrire l'aereo. Ehi campione, che ne dici di fartelo a nuoto? o magari se aumenti un po' gli allenamenti puoi andarci correndo sulle acque!!
Nella vasta gamma di individui che corrono due categorie non tollero in particolare.
I CORRIDORI ALPHA
I corridori alpha sono belli. Ma non solo nella vita, anche mentre corrono. Intanto non sudano. Mai. Possono farsi la Parigi-Dakar in salita, controvento, che rimarranno asciutti come lenzuola stese nel Sahara. Indossano sempre una tuta attillatissima, che praticamente gli viene applicata sul corpo scultoreo tramite bomboletta spray. Lei sfoggia delle culotte così strette che il culo dopo la prima mezz’ora comincia ad avere attacchi di claustrofobia e una maglietta fatalmente aderente, che lascia intravedere un capezzolo largo come una tazzina da caffè, che distrae gli uccelli durante la migrazione. La coda di cavallo è d’ordinanza e, soprattutto, non sorride mai.
Lui ha la scarpa da tennis che vive di vita propria, il fantasmino di spugna per evitare le vesciche grandi come piscine gonfiabili, la suddetta tuta da Power Ranger, l’occhiale da sole schermato e sette polsini nella seguente disposizione: uno sul polso destro, due alle caviglie, uno sopra i gomito sinistro, uno sulla fronte, uno intorno alla capitale dei Paesi Bassi e l’ultimo nella fessura delle chiappe, per evitare che lo sfregamento delle stesse causi, per colpa delle scintille, roghi involontari. Se poi ci troviamo di fronte a dei veri esperti del settore, non può mancare l’articolo per eccellenza di ogni corridore: la fascetta-portalaqualunque con cui puoi essere libero di correre, senza dover fare a meno del tuo i-phone, i-pod, i-pad, i-rot la minch.
L’ASCETA
L’asceta è quello che va a correre “ Perché così ritrovo il contatto con la natura.. mi riapproprio del mio tempo.. posso meditare.. solo correndo riesco a pensare in profondità e in tranquillità” Dunque. Premesso che non mi risulta che il Mahatma Gandhi avesse in casa propria un tapis roulant, perchè una corsa intorno al tuo isolato me la devi vendere come un viaggio di sei mesi in Tibet? In Tibet trovi te stesso, nel tuo caseggiato il massimo che trovi, lo pesti con le scarpe. Ora spiegami come faccio a trovare il mio io interiore mentre, sudato come la pelle dello zampone evito anziani, carrozzine, cani in calore, bambini, ciclisti, automobili, arrancando come una bestia e provando a chiedere aiuto usando esclamazioni composte da lunghissime h, qualche sporadica consonante, e il nome di battesimo di tua mamma. L’unico modo che avrei per fare pensieri profondi sarebbe cadere in un tombino aperto.
Per finire, la cosa che non tollero di più dei jogger è vedere che, quando si fermano sul ciglio della strada per attraversare, corrono sul posto. In quel momento l’istinto omicida mi pulsa nelle tempie. Io, in macchina, mentre li guardo, mi sento una grassa poltrona a sacco, gonfio come uno pneumatico, mentre lì, il paladino del peso forma, corre sul posto per non perdere il ritmo e perché ogni momento è un buon momento per bruciare calorie.
In quei momenti non c’è altra soluzione che guardarsi la pancia, guardare lui dal finestrino, fare un lungo respiro e passarci sopra. Con la macchina.
I.N.T. QUELLI CHE FANNO JOGGING



martedì 1 gennaio 2013

Io non tollero Capodanno. Giuro. Ho proprio un rapporto complesso con questa ricorrenza. Innanzitutto perchè odio mortalmente le lenticchie, che penso ogni persona normodotata mangi una sola volta all'anno. Mia nonna, pace all'anima sua, ne faceva una valanga. Ma una roba da produzione industriale. Penso avesse un accordo con quelli della Confagricoltori per farsene scaricare due interi autoarticolati nel vialetto di casa. Dico solo che per condirle usava come unità di misura il barile petrolifero. Cuocevano tutto il giorno, facendo rumori imbarazzanti nella pentola. Per un po' si è data la colpa al cane, il quale avrebbe dovuto, dati tutti quei suoni esilaranti, sollevarsi in aria come un pallone aerostatico e uscire dalla finestra; poi si è effettivamente scoperto che erano le lenticchie. Da allora ho capito che la lenticchia è l'unico legume che scoreggia ancora prima di essere mangiato. Gioca proprio d'anticipo.
Tra l'altro, alla lenticchia è sempre toccato un destino infame: prima la vogliono tutti, quando viene portata in tavola, invece, non la vuole nessuno. Tutti all'inizio chiedono: " Ma ci sono le lenticchie vero?", " Avete comprato le lenticchie?", "La lenticchia porta guadagno, ci devon essere per forza!!". Poi fatalmente quelli che le hanno tanto richieste, che sono degli stronzi immatricolati, quando vedono arrivare il silos di lenticchie (perchè cazzo di lenticchie non vorrai farne poche che poi portan bene e l'anno scorso la zia ci ha rotto l'anima che non le avevamo fatte e nonno ha acceso un altro mutuo da quando sta con l'ucraina con la passione delle armi bianche dell'esercito zarista) impallidiscono e ne prendono "poche poche perchè poi gonfiano". Maledetti pezzi di culo sgonfi.
Altro motivo per cui non tollero Capodanno è la classica domanda: "Ma...tu che fai a Capodanno?". Ora. L'umanità, di fronte a questa domanda, si divide in due categorie: gli scialuppatori e gli arrembatori. Lo scialuppatore, che è stato, almeno una volta, un arrembatore, è quello che sa già cosa fa per Capodanno da Ferragosto. Ha già prenotato il volo, l'albergo, il viaggio di ritorno, la sala, il tavolo, le sedie, le prostitute, il palco, il palchetto, i posti, le file, la cena; sa già quante bottiglie berrà, con chi brinderà, dove e indossando cosa. E' chiaro che a lui non interessa dove o cosa fai tu; a lui interessa farti sapere che ha il Capodanno impegnato. E se sei così babbeo da azzardarti a chiedergli " non è che per caso posso venire anche io?", vedi che, mentre finge di pensare, da un lato della bocca comincia a schiumare dalla gioia come un sifone del seltz, la gamba destra è scossa da tremori incontrollabili che segnala un accenno di erezione in corso e la voce diventa più acuta di un tono e mezzo. "Eeeeeeeeeh" dice con finto rammarico, mentre gode a vederti annaspare nel tuo destino da eremita "sai non so..siamo già in tanti..magari chiedo e ti faccio sapere..teniamoci in contatto..sai è una festa molto esclusiva". La speranza è che si accechi col tappo dello spumante, ma neanche visto che poi toccherebbe pagargli la pensione di invalidità.
Metodo di neutralizzazione rapida: "Ma..tu che fai a Capodanno?" (qualche attimo di attesa); risposta "Mi faccio tua mamma, perchè quest'anno papà non l'ho visto in forma".
La seconda categoria è quella degli arrembatori, ossia quelli che ti chiedono perchè sono disperati. La loro è una richiesta di aiuto. Ti fanno la domanda guardandoti come i cani lasciati fuori dai negozi. Raccontargli una balla, è come abbandonarli in autostrada. Quando poi vengono alla festa, o per tutto il tempo ti stanno accanto dicendo che non conoscono nessuno e che tutti quelli che ci sono gli stan sulle palle, oppure arrivano e si attaccano alla bottiglia e, dopo essersi benzinati per bene, ci provano con tua sorella, litigano con la loro immagine allo specchio, vomitano sui muri e pisciano sul balcone di quella del piano di sotto che ci tiene una coppia di alani a pelo lunghissimo.
Terzo motivo per cui non tollero il capodanno sono i buoni propositi. I buoni propositi sono il male della Terra. Un esempio di formidabile masochismo. Se hai le misure di una scrivania Luigi XIV è molto improbabile che tu perda cinquanta chili, a meno che non ti svaligino casa portandoti via il servizio da 12 in argento. Se hai un fisico triste e molliccio come una cappasanta atlantica non diventerai mai un bronzo di Riace, neanche se ti fai impiantare gli addominali di Robocop. Se sei sempre stato ignorante come i rutti da osteria è inutile che ti compri tutta la collana Meridiani della Mondadori e poi continui ad essere convinto che la Montalcini abbia preso il Nobel per aver inventato lo zucchero filato da testa. E invece tutti pensiamo che col cambio di anno saremo tutti meno meschini, meno pigri, meno avidi. Meno noi insomma. Ma l'algebra umana insegna: meno per meno fa sempre più.
Motivo speciale per cui non tollero Capodanno è che 'sta volta, un proposito l'ho rispettato. Il mio in questione era iniziare un blog, altra cosa che io non tollero, infatti sono stato praticamente costretto. Ma ormai ho finito il mio primo post, sicchè...
I.N.T IL CAPODANNO