Porca boia
finalmente è arrivata l’estate. Credevo che mi sarebbero evaporate le palle
prima di andare in vacanza. Fatto pacchi, valige, sacchetti e me ne sono
tornato a casa. Devo dire che il caldo umido come il fiato ansimante di un
maniaco sul collo di una catechista è lo stesso dappertutto. Mi rende molle ed
appiccicoso come una barretta di Mars. La cosa peggiore è che per via di questa
iperattività sudoripara ho il culo che sembra ricoperto di carta moschicida.
Non posso sedermi da nessuna parte, altrimenti il magico duo comincia a sudare,
divenendo perfettamente aderente alla superficie di appoggio. Con conseguente
incollamento. Non vi dico il dramma: ora sono costretto ad andare in bagno con
un piede di porco ( per liberarmi dal vuoto pneumatico che fatalmente si forma
nella tazza) e ho letto, divano, poltrone e sdrai segnati da una sindone laica,
testimone di penniche bollenti.
Data questa mia
sfortunata condizione biologica, sono costretto a stare sempre in piedi, come i
cavalli. Ho deciso allora di fare due passi. Errore madornale. Perché poco
distante da casa mia ho incontrato il viaggiatore
da esposizione.
Descrizione:
il viaggiatore
da esposizione è il maledetto turista che nello spazio di un’ estate visita tre
continenti, diciotto stati, sedici capitali, ventitré regioni, una dozzina di
spiagge, cinquecento musei e seimilaquattrocentottantanove deliziosi borghi
chetunondirestimaieinvecemicisonoinnamoratoperchèguardailnostrobelpaeseèunpostopienodimeravigliecheneancheconosciamo.
Praticamente è un nomade, uno zingaro che viaggia con Ryanair. Fin qui niente
di male, se non fosse che lo scopo di tutto questo peregrinare è rinfacciarlo
fino alla morte a chi come te ha in programma di seccarsi le balle come datteri
al sole presso lo stabilimento “Marcella” di Capo Rizzuto, dove l’eritema
solare è considerata animazione da spiaggia. Inspiegabilmente, infatti, il
viaggiatore da esposizione, quando ti incontra, ha con sé otto intere memory
cards piene di foto di viaggi appena fatti che lui suppone tu abbia un bisogno
praticamente vitale di vedere:
“ allora guarda,
questa è la foto del bagagliaio vuoto, questa del bagagliaio pieno, questa del
bagagliaio con dentro Tobia (bovaro del
bernese da 108 chili a pelo lunghissimo, amichevole come una lastra di ghiaccio
su un tornante) perché sai come sono, sono una sagoma. Questa è la foto di me
al volante. Questa dei piedi del mio tipo/ tipa sul cruscotto della macchina.
Qui siamo noi al mare. Qui coi bambini dell’Africa che stanno morendo di fame.
Qui siamo noi con simpatici cappellini fluo in un locale sulla costa. Qui siamo
noi in piedi. Noi seduti. Noi sdraiati. Uno albero. Uno scoiattolo. Il piatto
tipico del luogo ( il cui odore di piedi ha fatto venire sfocata la foto). Noi
sdraiati su un fianco. Noi che dormiamo.”
Si perché il
problema di questa gente è che fotografa ogni cosa inutile. In quei casi uno
dovrebbe essere sincero: la foto con te di fianco ai soldati della Regina o di
te col cappello da messicano assieme al taxista sorridente che ti sta sfilando
il portafoglio dalla tasca, o la
panoramica mozzafiato di conifere secolari al tramonto non piace a nessuno. È
soltanto merda. Punto.
L’apice si
raggiunge poi quando questo meraviglioso esempio di inceppamento del meccanismo
evolutivo mi vuole convincere che “no guarda io non sono proprio il tipo da
vacanza al mare. Cioè io se non mi vado a imbelinare in una foresta tropicale,
se non mi faccio calare in una grotta a 1300 metri di profondità, se non
rischio di farmi bollire da una tribù indigena o se non faccio un bel safari a
mani nude cioè io proprio non mi rilasso. Non riesco a capire come fanno quelli
a chiamare vacanza stare sdraiati al sole senza fare niente per una settimana”.
Donna/uomo avventura ascoltami bene. Dato per assodato che non c’è nulla di
male nel passare una settimana a brasarsi le chiappe su un lettino, come faccio
a credere a te che vai via coi Viaggi del Ventaglio? Che, porca miseria, se non
ti danno il posto finestrino in aereo ti viene una crisi di iperventilazione, o
se te lo danno ma magari contrario al senso di marcia, in treno, ti viene la
nausea. Mi chiedo, perché mi devi vendere la cavalcata in cammello e il the nel
deserto sotto la tenda berbera come un’esperienza da Lawrence d’Arabia, quando
sai benissimo che il the era della Lipton, la tenda della Quechua e che quei
magrebini erano berberi nomadi e romantici come Hannibal Lecter è vegano. Scusa
ma agli esploratori col bancomat faccio fatica a credere.
Per non parlare
di quelli che mi vendono il loro viaggio come una sorta di impellenza
sociologica. “no guarda, io vado via
soprattutto per i luoghi. Le atmosfere. Vado per incontrare le persone, voglio
immergermi nella vita di quel paese, nelle loro vite, nella loro quotidianità”.
Epporcatroia. Primo, ma che cazzo di quotidianità vuoi che ci sia a Formentera.
Secondo, tu credi davvero in due settimane di riuscire “ad immergerti in un
popolo”, alternando visite guidate in pullman a razzie dissennate di bancarelle
alla ricerca del vestitino che è un amore (che diventa immettibile a casa), del
soprammobile che è proprio adatto al mio soggiorno (si, se vivi in una capanna
fatta di sterco e bambù) e della boccetta di sabbia del deserto (che come
minimo è limatura di piastrelle da bagno). L’unica cosa che ti auguro quest’estate,
mio caro amico giramondo, a te che viaggi più per raccontarlo agli altri che
per levarti un po’ dalle palle, è di non incontrarmi in aereo. Si perché, dopo
averti incontrato ho preso la decisione di iniziare un corso di volo.
Specializzazione: esplosivi.
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