martedì 19 febbraio 2013

IO NON TOLLERO LA STRADA


Io non tollero la strada. Intesa come luogo dove circolano le automobili. È tra i luoghi più intollerabili del pianeta, dopo il supermercato di domenica e il salotto di Pomeriggio Cinque. È il posto dove perfetti sconosciuti si lasciano andare ad un odio sanguinario degno della peggior pulizia etnica kossovara. Gente che promette vendette trasversali su parenti e affini o che lancia maledizioni sull’anima. Secondo me, infatti, lo scontro  israelo-palestinese è cominciato in tangenziale. Per fortuna il Dalai Lama va a piedi, altrimenti sarei sicuro di vederlo nell’ora di punta sfondare i parabrezza di quelli davanti con una testata, all’urlo di “Per il potere di Grayskull, a me il potere!!”. Il mondo penso perderebbe le coordinate.
Tutto è intollerabile in strada perché chiunque si sieda al volante tacitamente aderisce all’assioma del “ migliore dei guidatori possibili”: ossia, io che guido in questa macchina so guidare, tu che guidi in quella macchina guidi come uno affetto dalla sindrome di Tourette. È così sempre. Quello davanti non fa mai la manovra giusta, o mai nel modo giusto.
“ah, va quell’idiota, perché non sorpassa?”
“beh c’è il limite dei cinquanta e poi mica ci stava!!”
“se va be, il limite dei cinquanta… chi è che lo rispetta… poi è una misura indicativa, c’è la percentuale di abbuono..e poi sei idiota, cosa ti compri quel macchinone se non lo sai usare!!”
“non è che non lo sa usare, è che c’è proprio un fosso”
“ma guarda che ci stava! E poi hai le gomme no? Anche ci fosse cascato galleggiava, sta a veder..” e Archimede ti inchioda le chiappe al fondo.
Seconda verità assoluta, che rende intollerabile la strada, recita: “la velocità di marcia del guidatore davanti è inversamente proporzionale alla tua fretta o al tuo ritardo”. Tu esci di casa maledicendoti perché dovevi essere all’appuntamento dieci minuti fa, ti metti al volante e sbam! La 600 della resistenza, color nausea, ti si pianta davanti, alla formidabile velocità di 46 chilometri orari. E tu cominci a gridare una serie ininterrotta di A. Quello che hai davanti diventa la tua nemesi. Indipendentemente dalla categoria sociale di appartenenza.
È un anziano? “dai nonnooooo! La strada è per i vivi!!! Ti sei perso mentre andavi al cimitero??!”
È una donna? “ehi bella!!le chiacchiere le vai a fare dall’estetista!!! Io lo so, si starà mettendo come minimo lo smalto alle dita dei piedi!!”
È uno straniero? “ehi Romania!! Ma non rubavi solo gli autoradio qualche mese fa??sei passato all’intero veicolo?”
Insomma, l’allegra fiera del luogo comune razzista. Roba che un vecchio nostalgico nazista emigrato in Texas a confronto è Madre Teresa.
E chiaramente il lento guidatore fa esattamente la tua stessa strada. Ad ogni incrocio guardi il segnalatore luminoso di frecce, nella speranza di una inversione. Invece niente, ti scorta fin dove devi arrivare. Tu allora snoccioli tutto il rosario della vecchia fattoria iaiao, e il santino di Padre Pio dei nonni si incenerisce per autocombustione.
Altro motivo per cui la strada è odiosa è il tempismo straordinario dei semafori. Anche questo principio recita: “quando serve, il semaforo non sarà mai verde”. Puoi partire quando vuoi, fare i calcoli col vento contrario o a favore, triangolare porzioni infinite di arcata celeste, ma nulla ti eviterà una serie di rossi che neanche fossi un toro alla corrida. Il peggio poi è quando da lontano lo vedi, è verde, sai che arrivarci ti permetterebbe di rompere il feroce domino di rossi che ti aspetta, mordi l’acceleratore, vorresti sgasare, ma a 20 metri dal semaforo, quando il giallo è ancora solo una probabilità, chi hai davanti, lo senti con un brivido, rallenta leggermente, in modo da far scattare il giallo e da farti inchiodare comodamente al rosso mentre lui, all’ultimo, passa. In quel momento diventi Bernardo Gui l’inquisitore. E mentre lo vedi che si allontana, senza accorgertene, hai annodato la leva del cambio (che a quel punto diventa la leva del cappio).
Come se non bastasse, ad aggiungere tensione ad una atmosfera da poligono di tiro, appare, prima o poi, il naturale nemico di ogni automobilista: il ciclista.
Il ciclista si considera un automobilista convertito, l’automobilista considera il ciclista sostanzialmente uno stronzo. Simile ai motorini, ma spocchiosamente salutista, baciaalberi, abbracciapesci, accarezzaprati. Con il suo odioso caschetto per evitare i traumi, lo scampanellio arrogante e la destrezza criminale di un visone nella stagione delle pelliccie. Sguscia, schiva, scansa, come un’anguilla in un barile. Il guidatore lo vede, il ciclista, superarlo sulla sinistra, facendosi beffe della fila chilometrica. Deve essere per quello che ogni guidatore, alla vista di un ciclista che attraversa la strada sulle strisce pedonali, senza scendere dalla bici chiaramente, è portato, per uno strano riflesso incondizionato, non a rallentare, ma ad accelerare lievemente perché “magari non lo investo, ma almeno la cacca sul sellino gliela faccio fare”. O magari quando passa da un lato all’altro della strada, mettendo fuori il braccio per segnalare la manovra, vorresti accostarti a lui e brandire dal finestrino un trinciapollo, o avere nel posto del passeggero Edward Mani di Forbice. Pregusti nella mente la soddisfazione che avresti nell’usare il suo stesso braccio per fargli il dito medio, ma ormai quello  ha già attraversato e sparisce in lontananza, salendo su un marciapiede. Chi dei due, ora, è lo stronzo?
Ultimo motivo per cui le strade sono il luogo perfetto in cui allevare un potenziale maniaco omicida col feticismo della pelle umana, sono le code. Lunghe. Lunghissime. Una coda, per definizione, non ha un inizio. La coda c’è. In coda siamo tutti ultimi, da qualunque prospettiva. Che poi le code sono un fenomeno misteriosissimo. Come si forma una coda? Voglio dire, uno si aspetta, in coda, che all’inizio della coda ci siano dei lavori in corso, magari dei camion, un’ intera mandria in transumanza, un maledetto incidente (in quello ci speri particolarmente, perché cazzo per tre ore di coda poi un po’ di sangue lo voglio vedere!!). E invece nulla. Ad un certo punto, la massa ricomincia a scorrere fluida, come nulla fosse successo. Voglio sapere ora, per cosa siamo stati fermi delle ore??! Macchè, impossibile, se ne va e viene come un occlusione intestinale. Che poi, per radio, non si dice più coda, che pare brutto, ma rallentamento. RALLENTAMENTO.
R       A       L       L       E       N       T       A       M       E       N       T       O   .   .   .   .
Una parola che non tollero. Brutta scema che non sei altro, sarai te rallentata, qui siamo inchiodati come un ladrone ad una croce. Per rallentare uno deve muoversi, ma un po’ più piano, non essere fermo. Il contachilometri ha cominciato ha segnare le stagioni.
Che poi, in un momento di lucidità pensavo, un modo per eliminare le code ci sarebbe. Basterebbe fare tutte le strade, in discesa.
I.N.T. LA STRADA

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