Io
non tollero la strada. Intesa come luogo dove circolano le automobili. È tra i
luoghi più intollerabili del pianeta, dopo il supermercato di domenica e il
salotto di Pomeriggio Cinque. È il posto dove perfetti sconosciuti si lasciano
andare ad un odio sanguinario degno della peggior pulizia etnica kossovara.
Gente che promette vendette trasversali su parenti e affini o che lancia
maledizioni sull’anima. Secondo me, infatti, lo scontro israelo-palestinese è cominciato in tangenziale.
Per fortuna il Dalai Lama va a piedi, altrimenti sarei sicuro di vederlo
nell’ora di punta sfondare i parabrezza di quelli davanti con una testata,
all’urlo di “Per il potere di Grayskull, a me il potere!!”. Il mondo penso
perderebbe le coordinate.
Tutto
è intollerabile in strada perché chiunque si sieda al volante tacitamente
aderisce all’assioma del “ migliore dei guidatori possibili”: ossia, io che
guido in questa macchina so guidare, tu che guidi in quella macchina guidi come
uno affetto dalla sindrome di Tourette. È così sempre. Quello davanti non fa
mai la manovra giusta, o mai nel modo giusto.
“ah,
va quell’idiota, perché non sorpassa?”
“beh
c’è il limite dei cinquanta e poi mica ci stava!!”
“se
va be, il limite dei cinquanta… chi è che lo rispetta… poi è una misura
indicativa, c’è la percentuale di abbuono..e poi sei idiota, cosa ti compri
quel macchinone se non lo sai usare!!”
“non
è che non lo sa usare, è che c’è proprio un fosso”
“ma
guarda che ci stava! E poi hai le gomme no? Anche ci fosse cascato galleggiava,
sta a veder..” e Archimede ti inchioda le chiappe al fondo.
Seconda
verità assoluta, che rende intollerabile la strada, recita: “la velocità di
marcia del guidatore davanti è inversamente proporzionale alla tua fretta o al
tuo ritardo”. Tu esci di casa maledicendoti perché dovevi essere all’appuntamento
dieci minuti fa, ti metti al volante e sbam! La 600 della resistenza, color
nausea, ti si pianta davanti, alla formidabile velocità di 46 chilometri orari.
E tu cominci a gridare una serie ininterrotta di A. Quello che hai davanti
diventa la tua nemesi. Indipendentemente dalla categoria sociale di
appartenenza.
È
un anziano? “dai nonnooooo! La strada è per i vivi!!! Ti sei perso mentre
andavi al cimitero??!”
È
una donna? “ehi bella!!le chiacchiere le vai a fare dall’estetista!!! Io lo so,
si starà mettendo come minimo lo smalto alle dita dei piedi!!”
È
uno straniero? “ehi Romania!! Ma non rubavi solo gli autoradio qualche mese
fa??sei passato all’intero veicolo?”
Insomma,
l’allegra fiera del luogo comune razzista. Roba che un vecchio nostalgico
nazista emigrato in Texas a confronto è Madre Teresa.
E
chiaramente il lento guidatore fa esattamente la tua stessa strada. Ad ogni
incrocio guardi il segnalatore luminoso di frecce, nella speranza di una
inversione. Invece niente, ti scorta fin dove devi arrivare. Tu allora snoccioli
tutto il rosario della vecchia fattoria iaiao, e il santino di Padre Pio dei
nonni si incenerisce per autocombustione.
Altro
motivo per cui la strada è odiosa è il tempismo straordinario dei semafori.
Anche questo principio recita: “quando serve, il semaforo non sarà mai verde”.
Puoi partire quando vuoi, fare i calcoli col vento contrario o a favore,
triangolare porzioni infinite di arcata celeste, ma nulla ti eviterà una serie
di rossi che neanche fossi un toro alla corrida. Il peggio poi è quando da
lontano lo vedi, è verde, sai che arrivarci ti permetterebbe di rompere il
feroce domino di rossi che ti aspetta, mordi l’acceleratore, vorresti sgasare,
ma a 20 metri dal semaforo, quando il giallo è ancora solo una probabilità, chi
hai davanti, lo senti con un brivido, rallenta leggermente, in modo da far
scattare il giallo e da farti inchiodare comodamente al rosso mentre lui,
all’ultimo, passa. In quel momento diventi Bernardo Gui l’inquisitore. E mentre
lo vedi che si allontana, senza accorgertene, hai annodato la leva del cambio
(che a quel punto diventa la leva del cappio).
Come
se non bastasse, ad aggiungere tensione ad una atmosfera da poligono di tiro,
appare, prima o poi, il naturale nemico di ogni automobilista: il ciclista.
Il
ciclista si considera un automobilista convertito, l’automobilista considera il
ciclista sostanzialmente uno stronzo. Simile ai motorini, ma spocchiosamente
salutista, baciaalberi, abbracciapesci, accarezzaprati. Con il suo odioso
caschetto per evitare i traumi, lo scampanellio arrogante e la destrezza
criminale di un visone nella stagione delle pelliccie. Sguscia, schiva, scansa,
come un’anguilla in un barile. Il guidatore lo vede, il ciclista, superarlo
sulla sinistra, facendosi beffe della fila chilometrica. Deve essere per quello
che ogni guidatore, alla vista di un ciclista che attraversa la strada sulle
strisce pedonali, senza scendere dalla bici chiaramente, è portato, per uno
strano riflesso incondizionato, non a rallentare, ma ad accelerare lievemente
perché “magari non lo investo, ma almeno la cacca sul sellino gliela faccio
fare”. O magari quando passa da un lato all’altro della strada, mettendo fuori il
braccio per segnalare la manovra, vorresti accostarti a lui e brandire dal
finestrino un trinciapollo, o avere nel posto del passeggero Edward Mani di
Forbice. Pregusti nella mente la soddisfazione che avresti nell’usare il suo
stesso braccio per fargli il dito medio, ma ormai quello ha già attraversato
e sparisce in lontananza, salendo su un marciapiede. Chi dei due, ora, è lo
stronzo?
Ultimo
motivo per cui le strade sono il luogo perfetto in cui allevare un potenziale
maniaco omicida col feticismo della pelle umana, sono le code. Lunghe.
Lunghissime. Una coda, per definizione, non ha un inizio. La coda c’è. In coda
siamo tutti ultimi, da qualunque prospettiva. Che poi le code sono un fenomeno
misteriosissimo. Come si forma una coda? Voglio dire, uno si aspetta, in coda,
che all’inizio della coda ci siano dei lavori in corso, magari dei camion, un’
intera mandria in transumanza, un maledetto incidente (in quello ci speri
particolarmente, perché cazzo per tre ore di coda poi un po’ di sangue lo
voglio vedere!!). E invece nulla. Ad un certo punto, la massa ricomincia a
scorrere fluida, come nulla fosse successo. Voglio sapere ora, per cosa siamo
stati fermi delle ore??! Macchè, impossibile, se ne va e viene come un
occlusione intestinale. Che poi, per radio, non si dice più coda, che pare
brutto, ma rallentamento. RALLENTAMENTO.
R A
L L E
N T A
M E N
T O .
. . .
Una
parola che non tollero. Brutta scema che non sei altro, sarai te rallentata,
qui siamo inchiodati come un ladrone ad una croce. Per rallentare uno deve
muoversi, ma un po’ più piano, non essere fermo. Il contachilometri ha
cominciato ha segnare le stagioni.
Che
poi, in un momento di lucidità pensavo, un modo per eliminare le code ci
sarebbe. Basterebbe fare tutte le strade, in discesa.
I.N.T.
LA STRADA
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