lunedì 30 dicembre 2013

IL DANNO DI CAPODANNO

La foto è tratta dal sito thechefisonthetable.it


Capodanno mi sta veramente sul culo. Ma non nel senso che mi ingrassa. Nel senso che lo odio. Credevo che col passare del tempo l’odio scemasse e invece ogni anno è sempre peggio e ogni anno mi fa sempre più schifo. Che poi mi domando: la gente a cui piace il Capodanno dov’è? Voglio dire, nei giorni prima di Capodanno, che sono forse i peggiori della Terra, parli alle persone e tutti ne dicono il peggio che si può.

 “Ascolta, ma tu alla fine che fai a Capodanno?”
“Ah guarda non lo so, forse vado in montagna a casa dal nipote di un amico dell’idraulico di mia nonna; anche se forse vado ad una festa organizzata da un tipo a casa di una tipa che è la tipa di uno che ho incontrato alla fermata dell’autobus. Altrimenti pensavi di andare a fare tre giorni di ritiro nella laguna di San Rafael nella Patagonia cilena dove c’è mio cugino che è rifugiato politico dal ’93. Comunque guarda, ho una voglia che va a finire che piuttosto vado a letto”.

 Finisce sempre così. Molti (in realtà pochi) progetti, tardivi e rocamboleschi e poi la drammatica dichiarazione di resa. “Guarda finisce che vado a letto, buona sera e buon anno”. Roba che il 31 diventiamo tutti rappresentanti della Eminflex. Buona notte ai suonatori. Che se veramente fosse così, a Capodanno ci sarebbe un largo che i gestori e i ristoratori tenterebbero il suicidio gettandosi nella sala fumatori del ristorante abbracciato ad una bomba Maradona. E invece macchè. Un fittume la notte di Capodanno da far venire il mal di mare. Gente che per avere un tavolo in una pizzeria ha preso in ostaggio il fattorino delle pizze. Per avere un pugno di lenticchie altri hanno fatto arrivare al maitre una busta con dentro tre bossoli calibro 35.

Si perché i giorni prima di Capodanno sono giorni di ansia e frustrazione. Salvo tu non sia uno di quegli infami che il Capodanno lo programma a Ferragosto (che ti si stacchino le unghie dei piedi) o di quelli che tutti gli anni parte bellamente e baci e abbracci (ti auguro una bella slavina da primo dell’anno, anche se vai in Kenya), gli altri comuni mortali arrivano ad organizzare qualcosa tipo il 27 sera, guardandosi nelle palle degli occhi, gonfi di disperazione. È in quei momenti che resusciti amici che non vedi dal primo vaccino per l’antirabbica, a parenti così lontani che il legame di sangue manco col binocolo. Che poi inizia quella fase del “mi hanno detto che c’è una festa”. Minchia la festa. Che non si capisce mai chi la organizza, dove sia a che ora finisca, quando inizi e chi ci sia. Mistero della festa. Andarci e provare ad essere invitati è praticamente una prova spirituale, un rito di iniziazione da società tribale del Borneo.

“Forse ho l’amico che ha l’aggancio…sai ora chiedo e ti dico perché siamo già in tanti.. Massì vedrai uno più uno meno non succede nulla.. Comunque ci sentiamo nel pomeriggio che ti confermo.. Però guarda non ti assicuro perché non so neanche io chi c’è” e altre allegre palle di Natale.

 Ma del resto è il 29 Dicembre e tu ci credi. Che poi pensi, nel tuo intimo, chissà che festa esclusiva da matti della Madonna e di tutti i Santi che sarà. Alla fine della fiera, che tu ci riesca ad andare o no (buona la seconda), credimi la festa è una serata normale, anzi. E te lo testimonia il fatto che nel buffet “ognuno porta qualcosa” style c’è, immancabile una torta salata, appena appena tiepida agli spinaci, che è una roba da malinconia che a confronto il conto alla rovescia su RaiUno nello speciale con Carlo Conti, la Carlucci e l’orchestra di Paolo Belli sembra il Carnevale di Rio.

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