venerdì 11 gennaio 2013

IO NON TOLLERO SERVIZIO PUBBLICO (DI IERI)




Io non tollero Servizio Pubblico. Anche qui ci vuole una precisazione. Non è che non lo tollero in toto; è vero, certe cose mi vanno un po’ giù per le scale di cantina, ma in generale non è quello. Io non tollero puntate come ieri. La famosa puntata Berlusconi contro Santoro. Praticamente un derby nella capitale. Gente che si preparava da giorni, come in un ritiro di campionato, allestiva maxi-schermi, preparava cori ultrà e lucidava le spranghe e gli striscioni da cerimonia. Neanche alla finale degli Europei e devo dire che il sapore che ha lasciato in bocca è stato proprio un po’ quello: di suola di scarpa durante la concimazione.
I protagonisti erano quelli delle grandi occasioni. Un Santoro, in evidente erezione da share, che entra spavaldo come quello che partecipa alla caccia della lepre pigra, apre il duello con una canzone omaggio al mondo della corrida ( e ad un certo punto è sembrato di trovarsi più davanti alla celebre trasmissione dei “dilettanti allo sbaraglio” che in un salotto politico), al mondo dei toreri. Roba che Hemingway avrebbe dato di stomaco, sia di sopra che di sotto, contemporaneamente. All’angolo sinistro troviamo invece lo sfidante. Silvio Berlusconi. Un leader ormai in pelle di coccodrillo come le cinture. Talmente tirato che le orecchie si toccano dietro la testa. Fiero ed orgoglioso sotto quella doppia passata di intonaco e i capelli disegnati con la biro. Gonfio come un gavettone. Nella mia fantasia ho immaginato che in realtà non sia grasso, ma si sia premurato, prima della trasmissione, di farsi una fagiolata terroristica, in modo da potersi far saltare in aria se messo all’angolo. Ultimo e non ultimo, poi, San Marco Travaglio martire, con il sorriso del veterinario prima di ogni castrazione. Lo aspetta al varco, Marco. Con due editoriali atomici, che Ahmadinejad fammé ‘n caffè proprio. Gli altri sono solo comparse e rumore indistinto.
Gli ingredienti per un duello alla Sergio Leone ci sono tutti. Si può quasi sentire il celebre fischio di sottofondo ( ma forse è solo nonno che quando si addormenta sulla poltrona sembra una teiera).
E invece, la tragedia. Anzi, la tragicommedia. Due ore e mezza di cinepanettone. Mancava solo de Sica che passando lasciasse partire un “ ‘sti cazzi!” e una gag ambigua tra Vauro e la Innocenzi. Ora, va bene la mediocrità. Ma non a questi livelli. Scenate da prima donna, comizi retrò e letterine che neanche la Posta del Cuore. Santoro ripete la stessa battuta per circa 87 volte, si incarognisce e poi fa il piacione; passa da essere il conduttore ad essere l’ospite; soffre non poco il dribbling dell’avversario e gli si chiude la vena alla lettura della prima lettera di Silvio agli Zebedei. Sembra un grosso gatto arruffato ubriaco, di quelli che camminano storti e che saltando sul balcone mancano fatalmente il bordo. Senza molta inventiva e con molta invettiva. Si riduce a ridoppiare una figura di merda del Cavaliere (di quelle che trovate nella Platinum Colletion sotto le feste di Natale) guadagnandosi il titolo di Gialappa de noialtri.
 Berlusconi, appena arrivato, ci si è resi conto che era a proprio agio nel programma come uno che è stato fatto accomodare su un cane idrofobo. Ha dato fondo al proprio repertorio d’annata (perchè, comunque, se si balla, lui non si tira indietro) . Battute, comizi, numeri da avanspettacolo, negazione ad libitum, supercazzole. Un incrocio tra Houdini, il Joker, il mago Do Nascimento e un circo itinerante polacco. Mancava solo facesse le scoregge con l’ascella e rubasse il naso a Ruotolo (solo una comprensibile repulsione l’ha trattenuto da sottrarre quella voliera baffuta) e poi avrebbe fatto l’en plein. non c'è che dire, un escapologo di razza.
Travaglio dal canto suo è come la cena del 26 o il pranzo del 27. Uno di quei pasti incolori, in cui la gente “guarda io mi faccio il semolino e tu cosa vuoi?” “Ah io proprio prendo solo un po’ di tè e magari ci inzuppo un po’ di pandoro, che ho ancora tutto lo zampone sullo stomaco!”. Asciutto e molle. Un po’ ingrigito ecco. Si, d’accordo, la seconda lettera aveva degli spunti, ma tutta roba già vista e già sentita. Vivaddio un po’ di furore! Aspettarsi che suonasse una lambada con le sue costole forse era eccessivo, ma avere il brio degli Inti-Illimani quando suonano “My heart will go on” non mi sembra consono.
Il risultato di tutto questo è stato imbarazzante e avvilente. Non si è fatta informazione. Non si è fatto un buon prodotto e tanto meno un buon Servizio. A chi guardava, alla fine della rumba, è rimasta la sensazione di aver visto uno show, tipo quelli in prima serata su Rai uno, in cui tutti avevano una parte o in cui ognuno, a turno, interpretava uno ruolo, sempre uguale per tutti è tre. Tutti hanno perpetrato i clichè e i pregiudizi della propria rispettiva categoria. Più che Servizio Pubblico si sarebbe dovuto chiamare Luogo Comune. E ti rendi conto che Berlusconi e Santoro, come succede a tutti i nemici perfetti dei fumetti, legati a doppio nodo dallo stesso destino, sono invecchiati insieme. Si sono sbiaditi allo stesso modo.
Ma la cosa che fa più male è la vergogna. Come quando quello di fianco a te in biblioteca risponde al telefono e ride sguaiatamente e tu vorresti pregarlo di mettere giù perché tutti lo stanno guardando. La vergogna e l'imbarazzo di aver visto altezze e non statura, esperienza e non competenza, battibecco e non dialogo. Ognuno è andato a letto con lo sconforto e col rimpianto che la gru sullo sfondo non abbia ceduto di schianto. Doveva essere una sfida, accesa, appassionante, ma costruttiva. E invece nè corrida nè toreri. Questa sera è sembrato, che del toro, ci fossero solo i coglioni.

I.N.T. SERVIZIO PUBBLICO (DI IERI)

1 commento:

  1. Sono d'accordissimo con quanto scrivi.
    Santoro ha ammazzato l'informazione per lo share.

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