Non posso esimermi, dopo tre mesi
errotti di blog, dall' aprire una piccola parentesi sulle foto di Facebook. Sì
perché da quando la gente frequenta quel bestiario a cielo aperto di Fb e,
peggio, da quando la gente ha scoperto le infinite potenzialità di Instagram,
siamo diventati tutti fotografi. Macchè. A confronto Cartier-Bresson è uno che
faceva fototessere per la carta d’identità. Tutti si sono resi improvvisamente
conto che non solo il mondo è pieno di tramonti imperdibili o di gatti
irresistibili, ma hanno anche realizzato che questi momenti preziosi non
possono non essere condivisi con tutto il mondo. Beh, non vorrei deludervi, ma
non è così. Le vostre foto fanno cagare, non me ne può fregare di meno di dove
siete andati in vacanza, o di che vedute mozzafiato si possano godere dal
balcone di camera vostra, o di quanto fa tenerezza il vostro cucciolo di iguana
che lo zio vi ha portato, contrabbandato, dallo Zaìre. Io odio voi, il vostro
iguana, la vostra macchina fotografica, vostro zio e il balcone di camera
vostra che possa crollarvi sotto i piedi. Ok. Forse esagero. Ma non credo.
OSSI DI SEPPIA
La prima fatale categoria è
quella degli ossi di seppia. Quelli cioè che hanno l’illusione che con
l’effetto seppia, anche la cagata più avvilente diventi arte. Possono anche
fotografare un pelo di culo su un cono gelato che però stai sicuro che con
l’effetto seppia può diventare pezzo da battere all’asta. I soggetti preferiti
di queste foto sono poi loro stessi, magari con lo sguardo triste, oppure
assorto, da esistenzialista. Ma fatti una doccia col phon accesso. Tremendo è
poi quando fotografano momenti conviviali o, comunque in cui tutti ridono e
scherzano e ci scrivono sotto “Memories”. Roba da camera ardente. Fossi in una
di quella foto mi toccherei a due mani.
BULIMICI
Sono quelli che fanno la foto a
tutto ciò che mangiano. La categoria è riparita in due ulteriori
sottocategorie: i bulimici attivi e i bulimici passivi. Quelli passivi sono
quelli che foto del genere le fanno al ristorante, e ovviamente rinominano il
tutto in inglese “Lunch time” oppure “Happiness”. E come per magia l’unto
baracco di Tonino Mignoli (chiamato così per averli persi entrambi affettando
una porchetta, le cui uniche stelle Michelin le ha prese per la sua celebre
“piadina al nero di copertone”, ormai individuata come causa principale dei
tumori al colon) diventa un ristorante sulla Baia di San Francisco. I bulimici
attivi sono quelli, invece, che ciò che fanno fotografano. L’odio mi si scatena
quando leggo sotto i commenti “oh ma è meraviglioso” oppure “mamma mia devi
aprire un ristorante”. Mai nessuno che dica “ ma perché l’hai portato in tavola
già masticato?” e neanche “ma questa è la foto prima o dopo la digestione?”.
Niente di tutto questo. Anzi, il fotografo risponde garrulo: “Grazie ragazzi,
se mi va male vado a fare la cuoca. Che poi ieri l’ho messo a tavola e il mio
Mauro se l’è mangiato tu, non riusciva a fermarsi!”. Si, peccato che nella
notte Mauro poi è morto.
I BEAR GRYLLS
Son quei fotografi avventura che
si vanno a inculare negli ultimi angoli del mondo, inospitali come l’ombelico
di un ciccione, e si fanno le foto da conquistatori. Capito, questi si vendono
come degli eremiti che ti fanno dei segoni con il viaggio come scoperta
dell’ignoto, come momento di riflessione, come occasione per andare oltre se
stessi e i propri limiti e poi, appena possono, click! la fotografia è già
immagine di copertina. Immancabile, nel repertorio, è la foto di loro che
guardano l’infinito seduti sul ciglio di un burrone e sotto una frase paracula
tipo “il viaggio è più che l’azione del partire.” E attendo con ansia la foto
della prossima avventura, possibilmente sulla rupe Tarpa.
SPECCHIO DELLE MIE BRAME
La categoria di quelle che si
fanno la foto allo specchio. Ovviamente in bagno. Tutte le volte che la vedo
prego Dio che un alligatore esca davvero dalla tazza del water che hanno dietro
di loro e gli stacchi una gamba di netto. Amen.
FESTAIOLI
Sono i fotografi dei grandi
eventi. O quelli delle feste dello scascio-sfascio-scatafascio. “Si vez ci siam
troppo disfatti”. “No ce, ti giuro che dopo sta foto ho stracciato di brutto”.
“Oh raga, non mi ricordo un cazzo”. Questo è il tenore di una conversazione di
due sedicenni e un diciassettenne. Della serie, ma la festa la facevano alla
Chicco o al reparto maternità? Anche se devo dire che fotografi di questo tipo
sono davvero molesti perché famosi per il loro pessimo tempismo. Ti fotografano
e tagganno proprio nel momento in cui hai appena finito il tuo quinto vodka
Redbull, così forte che sembra fatto col gasolio, ti sei appena fatto la pipì
addosso e stai ballando come se avessi avuto un attacco di colite. Risultato:
la mattina dopo tutto il web ha diffuso la tua foto e ha organizzato delle
raccolte fondi e una petizione per rendere legale l’utilizzo delle cellule
staminali nelle cure compassionevoli.
I BIBLIOTECARI
Il bibliotecario è figlio di pagnotta. L’assunto di partenza deve essere
questo. Le caratteristiche che contraddistinguono questa categoria da tutte le
altre sono tre: la memoria inossidabile, un sadismo ineguagliabile e un
archivio inestinguibile. Sono quelli che hanno foto di tutti, in cui tutti sono
venuti di merda. E tu non te lo ricordi. E lui lo sa. O te le ha fatte dal
vivo, oppure le pesca dai tuoi album, e le conserva, in una memoria speciale
dove le tue fotobombe riposano per anni. Come le mine anti-uomo. Lui sa che
verrà il giorno. Non oggi magari, non domani, ma verrà il giorno. E il giorno,
alla fine viene. E…BAAAAAAAAAAAAAM!!!!!!!!!!! Sei travolto da una serie di foto
di merda che testimoniano tutte le tue fasi peggiori della vita che hai provato
a dimenticare. Tu quando l’adolescenza ti ha scaricato in faccia l’intera
cartucciera di acne juvenilis; tu quando hai pensato che il capello lungo o,
peggio, il codino è calamita naturale per la patata e allora ti sei fatto
crescere una chioma nera e mediamente unta da Sansone; tu nel tuo periodo
depressivo e nichilista, quando ascoltavi i Nirvana, leggevi ( senza capire una
bega) i fiori del male, e ti vestivi all black perchè la vita fa schifo; tu
quando pesavi 180 chili e tua madre ti costringeva a mettere le polo a maniche
lunghe color pastello, oppure tu quando hai capito che “El pueblo unido jamas
serà vencido” e “una mattina mi son svegliato, oh bella ciao…” e così solo la
kefiah (che scommetto non sapevi manco come si scriveva), magliette del Che,
capello non lavato e maledetto e altri adorabili cliché. Il bibliotecario ti
inchioda al tuo passato, come in croce. Ed è inutile che provi a
contrattaccare. Lui ha più materiale a disposizione e poi, per chissà quale
ragione, ha pochissime foto sue incriminanti, che sono quasi introvabili. Ti
dico solo che da fuoco persino alla macchina delle fototessere dopo l’uso. Per
non lasciare tracce.FINE DELLA PRIMA PARTE